L’intervento di restauro di Villa Ceragioli ai Ronchi si confronta con l’edificio degli architetti Aldo Rossi e Leonardo Ferrari, cercando di riportare alla luce i caratteri propri di questo luogo iconico. L’intervento si focalizza su alcuni degli elementi cardine della villa come gli ambienti al piano terra, le grandi vetrate angolari e le finiture sulle facciate, un progetto delicato e attento che ha voluto riproporre fedelmente il disegno originario degli elementi. Nell’ottica di far conoscere la villa, opera prima del famoso premio Pritzker, si è anche prodotta un’installazione-open house in grado di rivelare gli elementi compositivi e teorici alla base del progetto originario. In tale rilettura spaziale, l’impiego di tronchi ricavati da un albero di pino costituisce il mezzo di interazione con la villa e la pineta circostante. Come delle rovine classiche, una colonna è stesa nel giardino, un’altra si erige nell’angolo della casa, una terza si dispone al centro del salone con un capitello vitreo come supporto espositivo, mentre cinque rocchi sono disseminati nel prato.

Esposizione temporanea realizzata nell’autunno del 2014 al Palazzo Ducale di Massa. L’esposizione ha presentato una raccolta di sculture africane in legno donate dall’artista argentino Julio Silva e dalla moglie alla città di Massa. Le opere rappresentative delle varie culture del Camerun, connesse ai riti che scandiscono la vita dei villaggi, erano costituite da figure, maschere, oggetti che definiscono ruoli e gerarchie sociali. Per sottolineare il valore espressivo delle sculture in legno rappresentative del carattere collettivo dell’arte africana, il progetto di allestimento ha previsto un “percorso di avvicinamento” all’arte tribale africana tentando di restituire la molteplicità di significati che le varie tipologie di oggetti rappresentavano. Stimolante è stata la relazione che è venuta ad istituirsi tra le sculture in legno e il luogo scelto per l’esposizione: il Salone degli Svizzeri e la Sala degli Specchi del Palazzo Ducale di Massa, edificio realizzato dai Cybo-Malaspina dal 1563. L’allestimento si è misurato con l’apparato decorativo del salone, un involucro avvolgente che ha condizionato l’articolazione del progetto espositivo; lo spazio della mostra è stato reso riconoscibile affinché si confrontasse dialetticamente con l’architettura del palazzo: una moquette grigia delimitava orizzontalmente la superficie dell’esposizione, un tappeto su cui si appoggiavano i volumi bianchi degli apparati espositivi.

Il complesso ha una composizione monastica dove chiostro e sagrato sono i tessuti connettivi tra la chiesa, le aule, la sagrestia, la cappella feriale. Il pesce, la barca, la tenda, sono elementi simbolici della religione cristiana che vengono richiamati nella pianta e nella copertura della chiesa. La cappella feriale interna all’aula ma ad un livello più basso ha una copertura per l’ubicazione dell’organo a canne. Lo stesso spazio degradando verso il presbiterio ospita il coro. La cappella custodisce l’eucaristia ed al fine di metterla in evidenza presenta un varco vetrato che la rende visibile dall’aula. Tutte le linee prospettiche dello spazio architettonico dell’assemblea liturgica convergono nell’altare semicubico che simboleggia il sacrificio e la convivialità nel contempo. L’ambone è un luogo architettonico elevato, deputato per la celebrazione della parola, spinto in avanti verso l’assemblea come cerniera tra il popolo di Dio e Dio stesso. Il battistero è un luogo che ha una sua identità rispetto al resto dell’aula dove il catecumeno scende per “riemergere dallo stato di peccatore” dopo la purificazione del battesimo. La chiesa è realizzata in CLS bianco fotocatalitico TX Active, nella copertura due grandi travi curve in legno attraversano l’aula e svettano verso l’alto mentre l’orditura minuta sventaglia dando vita ad un paraboloide iperbolico. All’esterno la copertura con il suo manto grigio in zinco-titanio dialoga per forma e colore con le vette delle Alpi Apuane.

Premio Architettura Toscana

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