L’intervento prevede la realizzazione di due fabbricati, ispirati dal complesso residenziale Heuberg di Vienna (Adolf Loos), sfalsati tra di loro sia trasversalmente che in altezza, configurati come due masse monolitiche scolpite secondo una serie di facce e piani inclinati e adagiati sull’orografia dell’area per ottenere una Siedlungen moderna. Ogni fabbricato è composto da un piano seminterrato adibito a parcheggi, cantine e locali tecnici condominiali e due piani fuori terra destinati a residenziale. Una scala interna collega direttamente la quota dei parcheggi con le residenze soprastanti. Agli appartamenti si accede dai percorsi pedonali alternati a giardini privati a monte dei fabbricati, per poi trovare il vano scala in corrispondenza dello scarto della facciata. Al fine di assecondare l’andamento naturale del terreno, ogni stecca scarta di circa 70 cm verso il basso in corrispondenza del vano scala, ne deriva che in facciata la scansione delle aperture varia in altezza assecondando la quota di imposta. La stessa lavorazione dell’intradosso tende a conferire quella sensazione di massa scolpita che volevamo ottenere. L’elemento che rompe l’apparente rigidità dei volumi è il sistema delle aperture in facciata, ora elementi lavorati per estrusione, ora per sottrazione, non sono altro che la cornice di quadri naturali già esistenti. Il tetto è risolto con un sistema di falde, di colmi e di linee di gronda variabili tali da conferire alla copertura un carattere scultoreo.

L’edificio, che risale alla prima metà del Novecento, ospitava una distilleria e poi un’officina meccanica. La posizione su un importante asse di comunicazione ha suggerito un’ipotesi di recupero dell’immobile per destinarlo a spazio espositivo per le arti visive. All’esterno, un grande portale in ferro grezzo segnala, sulla piccola corte privata, l’ingresso allo spazio espositivo. Lo spessore di pochi centimetri dell’infisso esistente è sostituito da uno di quasi due metri. Il portale raccorda i due spazi, assumendo il ruolo di tramite fisico tra interno ed esterno, dilatando la soglia. L’ampia copertura a volta e il pavimento, seppure molto usurato, sono stati conservati in una filosofia progettuale che intende riflettere sul possibile rapporto tra preesistente e nuovo. Il nuovo si sovrappone al preesistente seguendo il principio della stratificazione: sulle pareti perimetrali si appoggia un rivestimento leggero, ad altezza variabile. Sull’asse longitudinale dell’aula, una sequenza di cinque celle cubiche di lato tre metri, aperte su un lato e prive di copertura. Vuoti che riempiono il vuoto. Un basamento della stessa dimensione in pianta, ma alto solo un terzo del lato di base, apre la sequenza. I volumi sono staccati tra loro: pause che consentono di traguardare, lasciando scoprire l’effettiva larghezza della sala. Un percorso anulare consente l’accesso alle stanze espositive, che si lasciano scoprire nell’alternanza di pieni e vuoti che caratterizza la composizione.

La maestà di Duccio di Buoninsegna, commissionata per essere posta sull’altare maggiore del Duomo di Siena è dipinta sulle due le facce. Sul fronte rivolto all’assemblea è la Madonna in trono col figlio sulle ginocchia. Sul retro, rivolto verso il coro, sono dipinte scene della vita di Cristo, inquadrate in uno spartito geometrico. Per cogliere nel suo insieme il valore di quest’opera occorre osservare le due facce, scoprirne le due dimensioni. Le “Logge del Papa”, propongono un singolare innesto nella complessa morfologia del tessuto urbano medievale. Un’architettura “leggera”, composta da tre campate aperte, delimitate sul fronte principale da una cancellata, ormai chiusa da anni. Il carattere delle due opere descritte confluisce nel progetto di uno spazio espositivo temporaneo da realizzarsi nell’antico monumento senese. Lo spazio sotteso all’architettura di archi e vele, isolato e inaccessibile, si apre ora alla città. Un’architettura temporanea è composta da un basamento-seduta che risolve l’attacco con il suolo e da una struttura verticale, costituita da due “C” sovrapposte, posta al centro della composizione. In alto, una “nicchia”, un tabernacolo o un trono che si rivolge, si mostra, all’esterno e accoglie un’immagine fotografica, “icona” contemporanea. In basso, il suo doppio, una “stanza segreta” che si rivela solo a chi decide di entrare sotto la loggia. Nella stanza la narrazione prosegue con immagini di piccole dimensioni disposte in una sequenza regolare.

L’edificio, che risale alla prima metà del Novecento, ospitava una distilleria e poi un’officina meccanica. La posizione su un importante asse di comunicazione ha suggerito un’ipotesi di recupero dell’immobile per destinarlo a spazio espositivo per le arti visive. All’esterno, un grande portale in ferro grezzo segnala, sulla piccola corte privata, l’ingresso allo spazio espositivo. Lo spessore di pochi centimetri dell’infisso esistente è sostituito da uno di quasi due metri. Il portale raccorda i due spazi, assumendo il ruolo di tramite fisico tra interno ed esterno, dilatando la soglia. L’ampia copertura a volta e il pavimento, seppure molto usurato, sono stati conservati in una filosofia progettuale che intende riflettere sul possibile rapporto tra preesistente e nuovo. Il nuovo si sovrappone al preesistente seguendo il principio della stratificazione: sulle pareti perimetrali si appoggia un rivestimento leggero, ad altezza variabile. Sull’asse longitudinale dell’aula, una sequenza di cinque celle cubiche di lato tre metri, aperte su un lato e prive di copertura. Vuoti che riempiono il vuoto. Un basamento della stessa dimensione in pianta, ma alto solo un terzo del lato di base, apre la sequenza. I volumi sono staccati tra loro: pause che consentono di traguardare, lasciando scoprire l’effettiva larghezza della sala. Un percorso anulare consente l’accesso alle stanze espositive, che si lasciano scoprire nell’alternanza di pieni e vuoti che caratterizza la composizione.

Il nuovo lucernario dell’ex “Cinema Moderno” è forse la metafora più esaustiva di una più complessa ristrutturazione dell’intero immobile. Il particolarissimo edificio a punta, un “Flatiron Building” di origine medievale nel cuore di Siena, di fronte allo storico Palazzo Tolomei, irrompe nella piazza omonima creando una “Y”, simbolo della storica suddivisione in terzi di città. Diventa così l’impronta su cui insiste la nuova lanterna sul tetto, landmark urbano, virus contemporaneo generatore della nuova struttura interna che si innesta come nuovo ordine compositivo e distributivo. I muri esterni, interamente in mattoni faccia vista e pietra nel basamento del piano terra, hanno fatto da scenario alla spettacolare asportazione di tutte le superfetazioni, fino al completo svuotamento dell’intero volume. Oggi, dopo un dettagliato rilievo laser scan e un accurato restauro, continuano a fare da cortina alla nuova struttura metallica. L’attuale destinazione dell’edificio è mista. Il residenziale è caratterizzato da un numero limitato di appartamenti per privilegiarne la qualità, mentre la parte commerciale, trova la sua entrata in corrispondenza della prua dell’edificio, al piano terra, attraverso lo spazio compreso tra le prime due arcate, lasciate aperte per la fruizione pubblica. Un dono alla città che riporta alla memoria l’antica στοά, luogo per l’incontro, lo scambio e la crescita culturale.

La scelta del collezionista è stata di raccogliere opere d’arte senese che portano la firma di grandi maestri, da Duccio di Boninsegna a Simone Martini. Ospitata nei Magazzini del Sale, sede scelta direttamente dal collezionista per ricreare l’ambiente originario, la mostra ha permesso al pubblico di poter scoprire alcune tra le più importanti opere d’arte al mondo e di ritrovarsi, come d’incanto, nelle magiche atmosfere dell’apice culturale senese.

Villa VP

Villa VP è una residenza privata immersa nella campagna a solo 6 km da Siena. A parte la Villa principale, gli altri fabbricati erano ad uso agricolo, disposti attorno ad un’area pavimentata e realizzati da materiali molto diversi tra loro. L’uso del grigliato a salto di gatto era particolarmente diffuso per garantire ventilazione naturale ed ombreggiamento all’interno. Il progetto, grazie ad una committenza illuminata, ha introdotto un VIRUS Contemporaneo all’interno della casa. Un vero e proprio Serpente di corten e vetro che entra ed esce dai volumi, generando nuove connessioni spaziali orizzontali e verticali, attraversa la libreria e scende fino alla sala da pranzo. Questo elemento ha permesso di liberare il corpo principale da precedenti e obsolete superfetazioni e caratterizza l’intervento con un linguaggio poetico e contemporaneo che si mescola con i colori del luogo ormai consolidati. Con particolare cura sono stati scelti le cromie degli intonaci, del cotto, del legno usati per il recupero dell’intero complesso. Fondamentale è stato l’impiego di una ditta locale che potesse trasmettere la propria conoscenza di manifattura artigianale nell’uso dei materiali e nella loro messa in opera. Fortunatamente il recupero non si è limitato alle parti edificate, ma si è esteso anche al parco circostante. Ciò ha permesso il ripristino di specie autoctone e la salvaguardia della vegetazione esistente, con l’integrazione di un orto per una piccola coltivazione ad uso personale.

Il Museo del Palio e del Costume della Contrada della Tartuca a Siena è situato in via Pendola, nella parte più vecchia della città. Il progetto, seicentocinquanta metri quadrati di superficie espositiva divisa in due piani, è parte di un’ampia previsione di ristrutturazione di ambienti, risultato di aggregazioni temporali spontanee, di proprietà della contrada. Per questo motivo, il progetto si poneva l’obiettivo, oltre che espositivo, di dare omogeneità formale all’intero intervento, attraverso la riconnessione degli ambienti con passaggi e collegamenti visivi. Attraverso la rettifica di muri ovviamente eterogenei, l’uso degli spazi di risulta come nicchie espositive e la messa in scena di ritrovamenti come testimonianza di un passato da tramandare, la volontà di creare spazi contemporanei che fossero a servizio della comunità, hanno portato la visione progettuale oltre il concetto di museo. Non solo spazi contenitori di oggetti, ma piattaforme per l’interazione tra membri di contrada e turisti. In questo modo chiunque passi da via Pendola viene catturato visivamente dall’enorme teca urbana, composta da un unico vetro di oltre cinque metri di lunghezza, che insieme alla facciata posteriore, anch’essa vetrata, sul retrostante vicolo della Tartuca, originano una reciproca e continua interazione tra interno ed esterno. Le due nuove facciate in vetro e corten, sostituzione di precedenti murature, sono il virus contemporaneo che si inserisce nel tessuto architettonico e dona vita nuova al vecchio edificio.

Residenze urbane

L’intervento ha previsto la realizzazione di 8 villini trifamiliari isolati, situati lungo il crinale affacciato su una vallata di una zona a sud-est di Siena di particolare rilievo sia paesaggistico che storico, in prossimità delle mura, vicino ad una porta d’accesso alla città, Porta Pispini. La conformazione della città storica e delle appendici di più recente edificazione, è legata sicuramente alle caratteristiche territoriali; i tre crinali su cui si adagia Siena hanno determinato uno sviluppo urbanistico, in cui ampie zone verdi si insinuano con estrema armonia nel tessuto edificato. Questa particolarità si riscontra sia all’interno delle mura che all’esterno, dove l’edificazione si è concentrata lungo le strade principali d’ ingresso alle porte, quindi lungo i crinali, nel tentativo di tutelare sempre le vallate verdi che si sviluppano tra un crinale e l’altro e che creano un legame indissolubile tra città e campagna. Nell’intento di contenere il terreno, di “ridisegnare” questa parte di territorio senese, all’interno dei lotti, le diverse zone pavimentate ed a verde, hanno modificato l’area con una serie di scatti di quota trattati anch’essi a verde; l’effetto d’insieme è uno spazio dove zone verdi e costruite si fondono piacevolmente . Gli 8 edifici pur presentando differenze planivolumetriche generate dall’andamento altimetrico del terreno, mantengono un’uniformità di linguaggio architettonico evidenziato dalle finestre a nastro e dai bowindows di valle.

L’area dello Scalo Merci a Siena, con il suo vuoto urbano di grandi dimensioni, si presta decisamente a divenire un luogo di sperimentazione di tipologie edilizie innovative e contemporanee, finalmente libere da costrizioni storicistiche che in questa zona risulterebbero assolutamente forzate e fuori tema. Infatti, seppur vicina, la città storica non risulta avere alcuna influenza diretta su questa zona che deve la sua genesi urbanistica maggiormente a fattori legati alla viabilità piuttosto che a dinamiche legate allo sviluppo urbano. Questo isolato racchiuso tra l’arteria stradale di Viale Sardegna e i binari della ferrovia si presta ad una visione quasi esclusivamente dinamica ed in movimento, infatti manca lo spazio frontale almeno su Viale Sardegna per un’osservazione statica. Il progetto nasce proprio da queste caratteristiche specifiche dell’area: i segni dei binari del vecchio scalo merci si trasformano negli elementi generatori della composizione, la loro simbolica estrusione determina la forma dell’edificio, della piazza podio e del verde. Le relazioni reciproche generano spazi verdi che filtrano gli edifici dalle strade, piazze rialzate in cui si affacciano i negozi, giardini più intimi tra i blocchi residenziali. La forma allude al movimento di un treno lanciato alla massima velocità attraverso l’esasperazione degli elementi orizzontali rafforzati dalla netta bicromia.

Premio Architettura Toscana

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