Futuro Anteriore

L’idea progettuale lavora sul tema “della scatola nella scatola” per riqualificare lo spazio operativo degli uffici della sede della Confcommercio di Pistoia. L’edificio è un parallelepipedo a base quadrata (36×36 metri) costruito nel 1970 con una tipologia prossima all’edilizia industriale più che a quella ad uffici. Gli elementi strutturali verticali posti secondo una maglia quadrata ad interasse costante di sei metri, ripartiscono e vincolano lo spazio. Le scelte progettuali sono state orientate ad articolare gli ambienti interni così da creare flussi, spazialità e dinamiche rispondenti alle necessità degli spazi di lavoro sia “aperti” che “confinati”. Il progetto ha come fulcro la zona centrale, nella quale lo stare e l’attraversare, la relazione e l’incontro sono azioni che lo spazio sottolinea caratterizzandosi rispetto all’intorno per materiale, altezza e illuminazione. Il concept è stato sviluppato partendo da quattro parole chiave; sostenibilità, accessibilità, flessibilità ed informatizzazione, che sono state declinate nelle loro diverse accezioni all’interno del programma edilizio. Dal punto di vista funzionale il progetto si organizza con una pianta a “ferro di cavallo” che si sviluppa sul perimetro dell’edificio per quanto riguarda gli uffici “operativi” e racchiude al suo interno un “cuore”, uno spazio posto in relazione visiva con gli uffici convenzionali che è l’area di rappresentanza per la nuova sede della Confcommercio. Lo spazio del “Futuro Anteriore”.

Futuro Anteriore

L’idea progettuale lavora sul tema “della scatola nella scatola” per riqualificare lo spazio operativo degli uffici della sede della Confcommercio di Pistoia. L’edificio è un parallelepipedo a base quadrata (36×36 metri) costruito nel 1970 con una tipologia prossima all’edilizia industriale più che a quella ad uffici. Gli elementi strutturali verticali posti secondo una maglia quadrata ad interasse costante di 6 metri, ripartiscono e vincolano lo spazio. Le scelte progettuali sono state orientate ad articolare gli ambienti interni così da creare flussi, spazialità e dinamiche rispondenti alle necessità degli spazi di lavoro sia “aperti” che “confinati”. Il progetto ha come fulcro la zona centrale, nella quale lo stare e l’attraversare, la relazione e l’incontro sono azioni che lo spazio sottolinea caratterizzandosi rispetto all’intorno per materiale, altezza e illuminazione. Il concept è stato sviluppato partendo da quattro parole chiave; sostenibilità, accessibilità, flessibilità ed informatizzazione, che sono state declinate nelle loro diverse accezioni all’interno del programma edilizio. Dal punto di vista funzionale il progetto si organizza con una pianta a “ferro di cavallo” che si sviluppa sul perimetro dell’edificio per quanto riguarda gli uffici “operativi” e racchiude al suo interno un “cuore”, uno spazio posto in relazione visiva con gli uffici convenzionali che è l’area di rappresentanza per la nuova sede della Confcommercio. Lo spazio del “Futuro Anteriore”.

M Greenhouse

Il progetto nasce come sostituzione di una vecchia serra per accogliere la crescente collezione di agrumi durante i mesi più freddi. Coltivatori per passione, i proprietari desideravano un nuovo padiglione per il riposo invernale delle piante, una piccola architettura dove sostare in silenzio e meditazione tra di esse. Il nuovo volume si inserisce in un terrazzamento della collina attenuando il contrasto fra natura ed architettura, fra forme organiche e frammento artificiale a cui i ritmi prospettici e le vibrazioni tridimensionali delle scansioni lignee dei listelli donano una solenne domesticità. Le facciate sono realizzate con assi di legno grezzo di larice naturale fissate alla struttura interna in larice lamellare assieme ai pannelli in policarbonato opalino. La superficie della copertura in continuità con il fronte sud rivolto verso la campagna circostante, mantiene l’integrità del volume elementare e la forma dinamica come solidificata. Oltre a soddisfare alcune funzioni pragmatiche, il progetto si è sviluppato per divenire una ricerca sulla traslucenza e sul rapporto fra natura e architettura. Durante il giorno, mentre i pannelli in policarbonato diffondono la luce del sole il padiglione diventa un corpo traslucido, a differenza della notte in cui diviene una lanterna scultorea fluttuante nell’orizzonte delle colline. Un’architettura in grado di ascoltare la specificità del luogo inserendosi nel paesaggio come un ulteriore frammento di paesaggio.

M Greenhouse

Il progetto nasce come sostituzione di una vecchia serra per accogliere la crescente collezione di agrumi durante i mesi più freddi. Coltivatori per passione, i proprietari desideravano un nuovo padiglione per il riposo invernale delle piante, una piccola architettura dove sostare in silenzio e meditazione tra di esse. Il nuovo volume si inserisce in un terrazzamento della collina attenuando il contrasto fra natura ed architettura, fra forme organiche e frammento artificiale a cui i ritmi prospettici e le vibrazioni tridimensionali delle scansioni lignee dei listelli donano una solenne domesticità. Le facciate sono realizzate con assi di legno grezzo di larice naturale fissate alla struttura interna in larice lamellare assieme ai pannelli in policarbonato opalino. La superficie della copertura in continuità con il fronte sud rivolto verso la campagna circostante, mantiene l’integrità del volume elementare e la forma dinamica come solidificata. Oltre a soddisfare alcune funzioni pragmatiche, il progetto si è sviluppato per divenire una ricerca sulla traslucenza e sul rapporto fra natura e architettura. Durante il giorno, mentre i pannelli in policarbonato diffondono la luce del sole il padiglione diventa un corpo traslucido, a differenza della notte in cui diviene una lanterna scultorea fluttuante nell’orizzonte delle colline. Un’architettura in grado di ascoltare la specificità del luogo inserendosi nel paesaggio come un ulteriore frammento di paesaggio.

Il progetto fa seguito ad un concorso di progettazione nazionale promosso dalla Provincia di Pistoia del quale il gruppo è risultato il vincitore. La Fonderia d’Arte Michelucci ha rappresentato un esempio significativo della storia produttiva ed artistica pistoiese del XX secolo, in stato di abbandono dal 1979. Abbiamo individuato gli elementi di permanenza capaci di dare continuità al segno urbano da sviluppare in nuove forme ed espressioni coerenti con il programma funzionale. Le murature costituenti i fronti corti dell’impianto originario a capanna, quelle della torre dei modelli, il muro storico esterno su via dell’Anguillara sono stati consolidati e ripristinati nella loro forma e posizione originarie. Le nuove funzioni sono state ricercate sul resede dell’impianto generale della ex fonderia optando per soluzioni seminterrate (lo spazio di attività) e completamente interrate (spazio di servizio) rendendo alla sua antica originaria funzione lo spazio verde aperto, eliminando le superfetazioni accumulatesi all’intorno. Lo spazio viene individuato dalla traslazione dell’originario piano a quota terra in modo da lasciar passare la luce per illuminare lo spazio interno di attività a quota meno tre metri inteso come traslazione verticale negativa, raggiungibile tramite una rampa continua dalla quota dell’ingresso che garantisce un disimpegno accessibile di tipo urbano. La capanna diviene ideale copertura dello spazio tecnico sul tetto dove sono previsti pannelli solari e fotovoltaici.

La Legnaia “Campo alla Cesta” rappresenta una piccola architettura che va a sostituire un precedente annesso precario di lamiera ponendosi nel paesaggio come sintesi fra tradizione e modernità per fornire una risposta convincente all’inserimento di un fabbricato in un contesto sensibile. Evocando da un lato le tradizionali capanne in legno e paglia, con falde di copertura molto inclinate, che punteggiavano un tempo la zona, ma palesando la sua contemporaneità con la pulizia del volume, l’assenza delle sporgenze di gronda e l’unitarietà del rivestimento di parete e copertura. La progettazione ha dovuto tenere conto che il fabbricato sarebbe stato realizzato in auto-costruzione dal proprietario. La struttura è un telaio in legno di castagno irrigidito da pannelli in scaglie di legno orientate. Le strutture sono protette per durare nel tempo, il rivestimento esterno di sacrificio in sciaveri di castagno (scarti della lavorazione di segheria), coniuga il basso costo con la possibilità di ottenere una tessitura materica in grado di evocare un’elevata sensazione di naturalità. Utilizzata per la conservazione di legna e attrezzature per l’orticoltura della famiglia, è accessibile dai due lati corti, uno dei quali è protetto da un loggiato. L’elevata pendenza delle falde permette un proficuo utilizzo del sottotetto come rimessa. Processo di progettazione partecipato dalla committenza che si è fortemente autoidentificata nel risultato di riqualificazione architettonica e paesaggistica.

La Legnaia “Campo alla Cesta” rappresenta una piccola architettura che va a sostituire un precedente annesso precario di lamiera ponendosi nel paesaggio come sintesi fra tradizione e modernità per fornire una risposta convincente all’inserimento di un fabbricato in un contesto sensibile. Evocando da un lato le tradizionali capanne in legno e paglia, con falde di copertura molto inclinate, che punteggiavano un tempo la zona, ma palesando la sua contemporaneità con la pulizia del volume, l’assenza delle sporgenze di gronda e l’unitarietà del rivestimento di parete e copertura. La progettazione ha dovuto tenere conto che il fabbricato sarebbe stato realizzato in auto-costruzione dal proprietario. La struttura è un telaio in legno di castagno irrigidito da pannelli in scaglie di legno orientate. Le strutture sono protette per durare nel tempo, il rivestimento esterno di sacrificio in sciaveri di castagno (scarti della lavorazione di segheria), coniuga il basso costo con la possibilità di ottenere una tessitura materica in grado di evocare un’elevata sensazione di naturalità. Utilizzata per la conservazione di legna e attrezzature per l’orticoltura della famiglia, è accessibile dai due lati corti, uno dei quali è protetto da un loggiato. L’elevata pendenza delle falde permette un proficuo utilizzo del sottotetto come rimessa. Processo di progettazione partecipato dalla committenza che si è fortemente autoidentificata nel risultato di riqualificazione architettonica e paesaggistica.

La Malga

La sala polifunzionale del complesso delle Felci, si trova all’interno dell’oasi naturalistica WWF del Dynamo Camp (struttura dedita alla terapia ricreativa, in cui vengono ospitati bambini affetti da gravi patologie, in gruppo o accompagnati dalle famiglie). È stata ricavata dalla ristrutturazione di un lungo corpo di fabbrica, denominato La Malga, in origine destinato a stalla per bovini. Esigenze di tempi costruttivi particolarmente contenuti e la volontà del committente di realizzare un edificio a ridotto impatto ambientale e a basso consumo energetico, hanno stimolato la soluzione progettuale di una “struttura nella struttura”. Del fabbricato esistente rimanevano le sole murature esterne, quindi è stato deciso di inserire all’interno del perimetro murario una struttura prefabbricata in legno, con pareti a telaio e copertura su capriate leggere con tiranti metallici. Le altre esigenze erano quelle di avere una sala versatile e adatta a diverse funzioni (sala da pranzo, aula didattica, con predisposizioni anche per corsi di cucina, e sala conferenze) ma senza far palesare le numerose dotazioni impiantistiche necessarie. Tutti gli impianti corrono a pavimento, compresi i canali di mandata e di ripresa dell’aria, e si dipanano all’interno delle contropareti interne fino alle due cornici sommitali che corrono sui lati lunghi dell’aula. Gli infissi sono riquadrati da telai in legno che “incorniciano” vedute del bosco estremamente suggestive.

La proprietà si trova nel centro del paese e vi insistono la “chiesa vecchia”, un edificio di cui si hanno notizie già nel 1383 e la “chiesa nuova”, ultimata nei primi anni Settanta. Il rapporto tra i due edifici non è mai risultato armonico. I nuovi locali di ministero pastorale oggetto dell’intervento sorgono in aderenza e direttamente collegati alla chiesa nuova. L’intento del progetto è stato quello di generare aree esterne di cerniera, ricucendo le zone di relazione e creando un continuum tra chiesa vecchia, sagrato, ampliamento, chiesa nuova e giardino, in modo da imprimere valenza urbana e vitalità all’intero organismo, come fulcro socio-religioso e luogo di aggregazione. Davanti alla chiesa vecchia si apre ora una sorta di piazza, un nuovo nucleo. Un grande portale incornicia la vetrata che fronteggia e riflette l’antico portico; ampie aperture mettono i nuovi locali in diretto contatto con lo spazio a verde retrostante; si aprono interessanti scorci prospettici. Dal punto di vista compositivo, è stato reinterpretato il linguaggio architettonico della chiesa nuova: volumi netti, grandi falde in contropendenza, pareti inclinate, patii. Il rivestimento metallico esterno, la tipologia degli infissi, i materiali interni per esprimere leggerezza e semplicità. Contestualmente si è provveduto al recupero delle pareti della chiesa nuova, caratterizzate da importanti episodi di deterioramento, rivestendole con la medesima tecnologia dell’ampliamento, ma variandone cromia e orditura secondo il disegno preesistente.

La proprietà si trova nel centro del paese e vi insistono la “chiesa vecchia”, un edificio di cui si hanno notizie già nel 1383 e la “chiesa nuova”, ultimata nei primi anni Settanta. Il rapporto tra i due edifici non è mai risultato armonico. I nuovi locali di ministero pastorale oggetto dell’intervento sorgono in aderenza e direttamente collegati alla chiesa nuova. L’intento del progetto è stato quello di generare aree esterne di cerniera, ricucendo le zone di relazione e creando un continuum tra chiesa vecchia, sagrato, ampliamento, chiesa nuova e giardino, in modo da imprimere valenza urbana e vitalità all’intero organismo, come fulcro socio-religioso e luogo di aggregazione. Davanti alla chiesa vecchia si apre ora una sorta di piazza, un nuovo nucleo. Un grande portale incornicia la vetrata che fronteggia e riflette l’antico portico; ampie aperture mettono i nuovi locali in diretto contatto con lo spazio a verde retrostante; si aprono interessanti scorci prospettici. Dal punto di vista compositivo, è stato reinterpretato il linguaggio architettonico della chiesa nuova: volumi netti, grandi falde in contropendenza, pareti inclinate, patii. Il rivestimento metallico esterno, la tipologia degli infissi, i materiali interni per esprimere leggerezza e semplicità. Contestualmente si è provveduto al recupero delle pareti della chiesa nuova, caratterizzate da importanti episodi di deterioramento, rivestendole con la medesima tecnologia dell’ampliamento, ma variandone cromia e orditura secondo il disegno preesistente.

Nel bel mezzo di un oliveto, ci troviamo ad operare su di un abuso edilizio. Nata come una baracca di legno, divenne in un momento non ben precisato una casetta di mattoni forati. Nel passaggio di proprietà il suo destino sarebbe stata la demolizione, ma perché mai dover produrre quintali di macerie quando si può tentare un riuso? Come esser certi che anche la platea fondativa in cemento armato sarebbe stata effettivamente eliminata? Abbiamo condotto una trattativa con l’ufficio tecnico comunale per fare in modo che il cliente non perdesse il bene acquisito e che il paesaggio potesse redimersi dall’abuso. Si è deciso che la preesistenza potesse essere ammantata di una veste lignea, camaleontica per rapporto alla tonalità della terra, dei tronchi nodosi degli ulivi e dei cipressi circostanti. L’intero perimetro murario della casetta, copertura compresa, è stato rivestito da balle di paglia raccolte nei campi circostanti. A chiusura dell’involucro edilizio sono state avvitate sui telai d’abete delle assi da ponte usate e passate a fiamma per aumentarne la resistenza nel tempo, facendo così rivivere un’antica tecnica contadina sprofondata nell’oblio. Se gli esterni restituiscono le scure tonalità dei tronchi e della terra, l’interno è un abbagliante scrigno dorato al quale si demanda in qualche modo il ricordo dell’occultato involucro di paglia. Gli intonaci di calce sono ricavati da argille scavate nei campi circostanti e applicate con grande sapienza artigianale.

Nel bel mezzo di un oliveto, ci troviamo ad operare su di un abuso edilizio. Nata come una baracca di legno, divenne in un momento non ben precisato una casetta di mattoni forati. Nel passaggio di proprietà il suo destino sarebbe stata la demolizione, ma perché mai dover produrre quintali di macerie quando si può tentare un riuso? Come esser certi che anche la platea fondativa in cemento armato sarebbe stata effettivamente eliminata? Abbiamo condotto una trattativa con l’ufficio tecnico comunale per fare in modo che il cliente non perdesse il bene acquisito e che il paesaggio potesse redimersi dall’abuso. Si è deciso che la preesistenza potesse essere ammantata di una veste lignea, camaleontica per rapporto alla tonalità della terra, dei tronchi nodosi degli ulivi e dei cipressi circostanti. L’intero perimetro murario della casetta, copertura compresa, è stato rivestito da balle di paglia raccolte nei campi circostanti. A chiusura dell’involucro edilizio sono state avvitate sui telai d’abete delle assi da ponte usate e passate a fiamma per aumentarne la resistenza nel tempo, facendo così rivivere un’antica tecnica contadina sprofondata nell’oblio. Se gli esterni restituiscono le scure tonalità dei tronchi e della terra, l’interno è un abbagliante scrigno dorato al quale si demanda in qualche modo il ricordo dell’occultato involucro di paglia. Gli intonaci di calce sono ricavati da argille scavate nei campi circostanti e applicate con grande sapienza artigianale.

Premio Architettura Toscana

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