La Legnaia “Campo alla Cesta” rappresenta una piccola architettura che va a sostituire un precedente annesso precario di lamiera ponendosi nel paesaggio come sintesi fra tradizione e modernità per fornire una risposta convincente all’inserimento di un fabbricato in un contesto sensibile. Evocando da un lato le tradizionali capanne in legno e paglia, con falde di copertura molto inclinate, che punteggiavano un tempo la zona, ma palesando la sua contemporaneità con la pulizia del volume, l’assenza delle sporgenze di gronda e l’unitarietà del rivestimento di parete e copertura. La progettazione ha dovuto tenere conto che il fabbricato sarebbe stato realizzato in auto-costruzione dal proprietario. La struttura è un telaio in legno di castagno irrigidito da pannelli in scaglie di legno orientate. Le strutture sono protette per durare nel tempo, il rivestimento esterno di sacrificio in sciaveri di castagno (scarti della lavorazione di segheria), coniuga il basso costo con la possibilità di ottenere una tessitura materica in grado di evocare un’elevata sensazione di naturalità. Utilizzata per la conservazione di legna e attrezzature per l’orticoltura della famiglia, è accessibile dai due lati corti, uno dei quali è protetto da un loggiato. L’elevata pendenza delle falde permette un proficuo utilizzo del sottotetto come rimessa. Processo di progettazione partecipato dalla committenza che si è fortemente autoidentificata nel risultato di riqualificazione architettonica e paesaggistica.

La Legnaia “Campo alla Cesta” rappresenta una piccola architettura che va a sostituire un precedente annesso precario di lamiera ponendosi nel paesaggio come sintesi fra tradizione e modernità per fornire una risposta convincente all’inserimento di un fabbricato in un contesto sensibile. Evocando da un lato le tradizionali capanne in legno e paglia, con falde di copertura molto inclinate, che punteggiavano un tempo la zona, ma palesando la sua contemporaneità con la pulizia del volume, l’assenza delle sporgenze di gronda e l’unitarietà del rivestimento di parete e copertura. La progettazione ha dovuto tenere conto che il fabbricato sarebbe stato realizzato in auto-costruzione dal proprietario. La struttura è un telaio in legno di castagno irrigidito da pannelli in scaglie di legno orientate. Le strutture sono protette per durare nel tempo, il rivestimento esterno di sacrificio in sciaveri di castagno (scarti della lavorazione di segheria), coniuga il basso costo con la possibilità di ottenere una tessitura materica in grado di evocare un’elevata sensazione di naturalità. Utilizzata per la conservazione di legna e attrezzature per l’orticoltura della famiglia, è accessibile dai due lati corti, uno dei quali è protetto da un loggiato. L’elevata pendenza delle falde permette un proficuo utilizzo del sottotetto come rimessa. Processo di progettazione partecipato dalla committenza che si è fortemente autoidentificata nel risultato di riqualificazione architettonica e paesaggistica.

La Malga

La sala polifunzionale del complesso delle Felci, si trova all’interno dell’oasi naturalistica WWF del Dynamo Camp (struttura dedita alla terapia ricreativa, in cui vengono ospitati bambini affetti da gravi patologie, in gruppo o accompagnati dalle famiglie). È stata ricavata dalla ristrutturazione di un lungo corpo di fabbrica, denominato La Malga, in origine destinato a stalla per bovini. Esigenze di tempi costruttivi particolarmente contenuti e la volontà del committente di realizzare un edificio a ridotto impatto ambientale e a basso consumo energetico, hanno stimolato la soluzione progettuale di una “struttura nella struttura”. Del fabbricato esistente rimanevano le sole murature esterne, quindi è stato deciso di inserire all’interno del perimetro murario una struttura prefabbricata in legno, con pareti a telaio e copertura su capriate leggere con tiranti metallici. Le altre esigenze erano quelle di avere una sala versatile e adatta a diverse funzioni (sala da pranzo, aula didattica, con predisposizioni anche per corsi di cucina, e sala conferenze) ma senza far palesare le numerose dotazioni impiantistiche necessarie. Tutti gli impianti corrono a pavimento, compresi i canali di mandata e di ripresa dell’aria, e si dipanano all’interno delle contropareti interne fino alle due cornici sommitali che corrono sui lati lunghi dell’aula. Gli infissi sono riquadrati da telai in legno che “incorniciano” vedute del bosco estremamente suggestive.

La proprietà si trova nel centro del paese e vi insistono la “chiesa vecchia”, un edificio di cui si hanno notizie già nel 1383 e la “chiesa nuova”, ultimata nei primi anni Settanta. Il rapporto tra i due edifici non è mai risultato armonico. I nuovi locali di ministero pastorale oggetto dell’intervento sorgono in aderenza e direttamente collegati alla chiesa nuova. L’intento del progetto è stato quello di generare aree esterne di cerniera, ricucendo le zone di relazione e creando un continuum tra chiesa vecchia, sagrato, ampliamento, chiesa nuova e giardino, in modo da imprimere valenza urbana e vitalità all’intero organismo, come fulcro socio-religioso e luogo di aggregazione. Davanti alla chiesa vecchia si apre ora una sorta di piazza, un nuovo nucleo. Un grande portale incornicia la vetrata che fronteggia e riflette l’antico portico; ampie aperture mettono i nuovi locali in diretto contatto con lo spazio a verde retrostante; si aprono interessanti scorci prospettici. Dal punto di vista compositivo, è stato reinterpretato il linguaggio architettonico della chiesa nuova: volumi netti, grandi falde in contropendenza, pareti inclinate, patii. Il rivestimento metallico esterno, la tipologia degli infissi, i materiali interni per esprimere leggerezza e semplicità. Contestualmente si è provveduto al recupero delle pareti della chiesa nuova, caratterizzate da importanti episodi di deterioramento, rivestendole con la medesima tecnologia dell’ampliamento, ma variandone cromia e orditura secondo il disegno preesistente.

La proprietà si trova nel centro del paese e vi insistono la “chiesa vecchia”, un edificio di cui si hanno notizie già nel 1383 e la “chiesa nuova”, ultimata nei primi anni Settanta. Il rapporto tra i due edifici non è mai risultato armonico. I nuovi locali di ministero pastorale oggetto dell’intervento sorgono in aderenza e direttamente collegati alla chiesa nuova. L’intento del progetto è stato quello di generare aree esterne di cerniera, ricucendo le zone di relazione e creando un continuum tra chiesa vecchia, sagrato, ampliamento, chiesa nuova e giardino, in modo da imprimere valenza urbana e vitalità all’intero organismo, come fulcro socio-religioso e luogo di aggregazione. Davanti alla chiesa vecchia si apre ora una sorta di piazza, un nuovo nucleo. Un grande portale incornicia la vetrata che fronteggia e riflette l’antico portico; ampie aperture mettono i nuovi locali in diretto contatto con lo spazio a verde retrostante; si aprono interessanti scorci prospettici. Dal punto di vista compositivo, è stato reinterpretato il linguaggio architettonico della chiesa nuova: volumi netti, grandi falde in contropendenza, pareti inclinate, patii. Il rivestimento metallico esterno, la tipologia degli infissi, i materiali interni per esprimere leggerezza e semplicità. Contestualmente si è provveduto al recupero delle pareti della chiesa nuova, caratterizzate da importanti episodi di deterioramento, rivestendole con la medesima tecnologia dell’ampliamento, ma variandone cromia e orditura secondo il disegno preesistente.

Nel bel mezzo di un oliveto, ci troviamo ad operare su di un abuso edilizio. Nata come una baracca di legno, divenne in un momento non ben precisato una casetta di mattoni forati. Nel passaggio di proprietà il suo destino sarebbe stata la demolizione, ma perché mai dover produrre quintali di macerie quando si può tentare un riuso? Come esser certi che anche la platea fondativa in cemento armato sarebbe stata effettivamente eliminata? Abbiamo condotto una trattativa con l’ufficio tecnico comunale per fare in modo che il cliente non perdesse il bene acquisito e che il paesaggio potesse redimersi dall’abuso. Si è deciso che la preesistenza potesse essere ammantata di una veste lignea, camaleontica per rapporto alla tonalità della terra, dei tronchi nodosi degli ulivi e dei cipressi circostanti. L’intero perimetro murario della casetta, copertura compresa, è stato rivestito da balle di paglia raccolte nei campi circostanti. A chiusura dell’involucro edilizio sono state avvitate sui telai d’abete delle assi da ponte usate e passate a fiamma per aumentarne la resistenza nel tempo, facendo così rivivere un’antica tecnica contadina sprofondata nell’oblio. Se gli esterni restituiscono le scure tonalità dei tronchi e della terra, l’interno è un abbagliante scrigno dorato al quale si demanda in qualche modo il ricordo dell’occultato involucro di paglia. Gli intonaci di calce sono ricavati da argille scavate nei campi circostanti e applicate con grande sapienza artigianale.

Nel bel mezzo di un oliveto, ci troviamo ad operare su di un abuso edilizio. Nata come una baracca di legno, divenne in un momento non ben precisato una casetta di mattoni forati. Nel passaggio di proprietà il suo destino sarebbe stata la demolizione, ma perché mai dover produrre quintali di macerie quando si può tentare un riuso? Come esser certi che anche la platea fondativa in cemento armato sarebbe stata effettivamente eliminata? Abbiamo condotto una trattativa con l’ufficio tecnico comunale per fare in modo che il cliente non perdesse il bene acquisito e che il paesaggio potesse redimersi dall’abuso. Si è deciso che la preesistenza potesse essere ammantata di una veste lignea, camaleontica per rapporto alla tonalità della terra, dei tronchi nodosi degli ulivi e dei cipressi circostanti. L’intero perimetro murario della casetta, copertura compresa, è stato rivestito da balle di paglia raccolte nei campi circostanti. A chiusura dell’involucro edilizio sono state avvitate sui telai d’abete delle assi da ponte usate e passate a fiamma per aumentarne la resistenza nel tempo, facendo così rivivere un’antica tecnica contadina sprofondata nell’oblio. Se gli esterni restituiscono le scure tonalità dei tronchi e della terra, l’interno è un abbagliante scrigno dorato al quale si demanda in qualche modo il ricordo dell’occultato involucro di paglia. Gli intonaci di calce sono ricavati da argille scavate nei campi circostanti e applicate con grande sapienza artigianale.

L’openspace per definizione è un ambiente unico e vasto mentre l’alloggio da rigenerare era un piccolo piano terra nato da aggiunte nel corso del tempo. La richiesta era di ristrutturare l’appartamento ereditato e realizzare nuovi impianti e infissi di migliore prestazione energetica nonché renderlo convertibile in uno spazio-feste. Il primo concept si basava sulla demolizione di due muri portanti e due divisori per creare un spazio centrale regolarizzato da arredi integrati perimetrali. Ma realizzate le demolizioni il cantiere ha mostrato qualità non prevedibili su carta: si sono allora abbandonati i rivestimenti in legno per far leva sull’articolazione del nuovo spazio unico e fluido ma poiché irregolare gerarchizzato in ambienti diversi. Al contrario dell’approccio iniziale il progetto non ha cercato di realizzare un openspace come forzatura di inserire il quadrato nel foro circolare ma ha fatto leva sulle porzioni di foro circolare scoperte. Ambiguità percettiva e diverse possibilità di fruizione come trasposizione spaziale della nozione funzionale di flessibilità. Pur trattandosi di un piccolo interno il progetto si è interrogato sul significato di rigenerazione di una preesistenza: non un’esclusione di fattori per la genesi di un’immagine comunicativa ma un rinnovamento che nasce dall’integrazione critica delle pluralità del contesto. Il prodotto generato trascende mode e valori formalistici per continuare le tracce del passato all’interno della metamorfosi contemporane

L’opera, per la quale si concorre nella sezione opere di interni, consiste nell’allestimento di un’importante agenzia assicurativa all’interno di un intervento complessivo (attuato da altri tecnici con altra committenza) di trasformazione di un ex edificio a destinazione artigianale, occupato originariamente ad autocarrozzeria, nella zona industriale di Pistoia. Il progetto di allestimento dell’agenzia si è basato sul mantenimento del carattere post-industriale dei locali, in particolar modo per quanto riguarda la parte destinata ad accogliere i clienti e gli uffici operativi e dirigenziali. Da qui la decisione di non controsoffittare tutto l’ambiente alla quota d’imposta della volta ma di mantenere la stessa in vista, creando per gli uffici dei “box” vetrati indipendenti, mentre le due postazioni centrali di ricevimento della clientela sono state rese autonome con due “portali” in cartongesso, portali che spiccano sullo sfondo rosso del “monolite” a tutta altezza destinato ad archivio e bagni. Il corridoio “ad onda” collega la parte “istituzionale” dell’agenzia con quella più “operativa”; qui i locali, nati da un’addizione eseguita nel tempo all’edificio principale, hanno copertura piana ed un carattere meno interessante che si è cercato di migliorare realizzando quattro sale riunioni, di uguali dimensioni, ma caratterizzate ciascuna da un colore diverso.

Casa Nadi

Il progetto di recupero e trasformazione di un dismesso fabbricato artigianale disvela la primitiva morfologia di abbandonati edifici produttivi, reinterpretandone l’arcaicità della forma e l’unicità dello spazio interno. La conversione, di ciò che ieri era luogo di produzione familiare in nuovo territorio per l’abitare, garantisce il permanere di quei rapporti di convivialità spaziale tra l’ex annesso lavorativo e l’adiacente abitazione principale. Il volume monolitico esistente si evolve in una piccola casa per una giovane coppia generando nuove connessioni, spaziali visive e materiche, tra interno ed esterno, tra il territorio della casa e gli altri territori: il giardino, la strada, il luogo. Il collegamento tra l’edificio ed il giardino è articolato nella continuità d’uso del pavimento in cemento gettato in opera, un nuovo suolo in forma di aia o seduta. Lo sviluppo cromatico dei prospetti è trattato con un profondo bruno, intonaco in pasta per le facciate, elementi in laterizio per la copertura. Finestre-cornice come nicchie lignee creano una soglia abitata, mentre il portico d’ingresso in forma di vuoto protetto diviene loggia-soggiorno. All’interno un nuovo paesaggio si dipana nella successione di piani sequenza, un’enfilade prospettica di scorci per l’abitare articolata in piccoli universi dalle singole specificità. La luce, filtrata da elementi frangisole lignei, penetra nella profondità di tale scenario fino a cadere dall’alto a narrare paesaggi altri.

Giardino Volante

Situato nel centro storico di Pistoia, vicino al vecchio Ospedale del Ceppo, il Giardino Volante nasce dall’evocazione della memoria genetica urbana dei vuoti naturali interni al costruito, a cui si immagina di sovrapporre il disegno di una trama vegetale, nel tentativo di indagare i simboli caratterizzanti della città. Una sinuosa architettura verde contenuta da un nastro continuo in cemento trasforma le zone di soglia da recinto a percorso, a seduta, fino a divenire piccole architetture per i bambini. All’interno la trama dei percorsi, simulando le nervature linfatiche di una foglia, genera zolle di prato che accolgono le sculture-gioco realizzate dagli artisti, Luigi Mainolfi, Atelier Mendini, Gianni Ruffi, le quali legandosi alla maestosa vegetazione arborea esistente, ricercano una suggestiva relazione tra il lavoro dell’uomo e la seduzione incantata del paesaggio. Il giardino diviene allora un frammento in grado di proiettarsi verso altre aree, nel tentativo di creare una ricucitura urbana dentro un più ampio disegno di riqualificazione attraverso la spinta dell’arte e della natura, nella convinzione che l’architettura all’interno dei tessuti esistenti divenga un innesto in grado di generare nuovi fermenti nel paesaggio e successivi livelli di interazione con il luogo. Una grande platea lineare avvolge molteplici palcoscenici, dove un’architettura nel paesaggio diviene sfondo alle passioni dell’arte, del gioco, della natura.

Questo progetto riguarda la ristrutturazione di una villetta anni ’60, immersa in una foresta di faggi sopra l’abitato di Sammommè, Pistoia. Dopo mezzo secolo di onorato servizio i nuovi proprietari della villa decidono di rinnovare completamente l’edificio, come unica richiesta esplicita quella di espandere il balcone che domina la valle verso sud. Proponiamo un’operazione progettuale semplicissima: la costruzione di una loggia. Mantenendo invariata la preesistenza, la loggia viene ripetuta tutta intorno all’edificio, espandendo il volume abitabile pur senza aumenti di cubatura. Le due entità rimangono fortemente distinte: la preesistenza intonacata bianca, la loggia in legno lamellare. Con questo stratagemma, in un’area dove non è ammessa la demolizione e ricostruzione, come neppure l’ampliamento (condizione sempre più diffusa nei piani regolatori d’Italia) l’Architettura tenta il suo disperato tentativo di imporsi come linguaggio autonomo e come gesto leggibile dotato di un profilo, di un volto. La loggia, elemento tipico della tradizione toscana, trova due ragioni d’essere. Il primo è la necessità, nel contesto di una fitta foresta, di un dispositivo spaziale per esperire la soglia tra l’intimità protetta dell’interno e l’esuberanza naturale dell’esterno. Il secondo è il tentativo di reinventare completamente l’aspetto dell’edificio preesistente, ma senza occultarlo completamente, in modo da lasciar dialogare gli scarti e le contraddizioni tra le due fasi costruttive.

Premio Architettura Toscana

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