Il recupero del complesso duecentesco di Sant’Agostino a Montalcino, dichiarato monumento nazionale e vincolato ai sensi delle Leggi 1089/1939, è il risultato di un iter realizzativo condiviso tra il progettista e le Soprintendenze interessate – Soprintendenza ai Monumenti di Siena e Grosseto, Soprintendenza archeologica di Firenze, Soprintendenza ai beni artistici di Siena e Soprintendenza generale di Roma – che hanno collaborato come consulenti specialisti mediante continui e puntuali contributi, e che ha visto dal 2013 investimenti regionali, comunali e privati superiori ai tre milioni di euro, al fine di restituire alla città un luogo che potesse diventare uno spazio di condivisione culturale attiva. Un recupero dunque funzionale al riuso al fine di ridefinire l’identità dell’edificio: il metodo è stato quello della stratificazione “astilistica” in equilibrio tra tradizione e innovazione, dove sono compresenti attività museali e culturali e quelle imprenditoriali, formative e divulgative. Lungo un percorso urbano costituito dai due chiostri trecenteschi e una nuova piazza prima interclusa, sono attualmente presenti il museo archeologico etrusco, il museo diocesano della provincia di Siena, il laboratorio di restauro degli affreschi della chiesa di Sant’Agostino, la nuova sede del Consorzio del Brunello e una scuola residenziale di architettura con la funzione di incubatore culturale per seminari didattici internazionali su temi diversi.

Collocato in un edificio quattrocentesco, che fu adibito anche a monastero, si trova nel centro storico di Piombino, a pochi passi dal municipio e dal mare. Sulla facciata un bassorilievo in pietra è di difficile interpretazione poiché gli stemmi furono scalpellinati da Cesare Borgia nel 1502 per obliterare la memoria dei precedenti signori, gli Appiani. L’ultimo uso dei locali fu poi come ristorante (chiuse nel 2010), ma già dagli inizi del ‘900 ospitava un bar. Negli anni ’20 la Ramazzotti indisse un premio in denaro per l’esercizio che più avesse consumato il loro amaro. Giovanni Sansoni, proprietario del bar, creò allora l’aperitivo Nanni, pubblicizzato dalla gigantografia tuttora posta tra le due porte di accesso, che recita “Siamo vecchi e si preferisce sempre il Nanni” e il Bar Nanni vinse il premio. La sfida progettuale era allora quella di ridare vita a un locale molto caro ai Piombinesi: per questo abbiamo realizzato un mix tra antico e moderno, dando al locale un aspetto classico ed elegante, capace di evocare i caffè storici in modo attuale. Il progetto coniuga infatti materiali “moderni” quali il gres porcellanato per il pavimento, l’acciaio corten del bancone ed i tavoli, il vetro decorato a foglia oro dei piani dei tavoli e del bancone, con la boiserie della sala da tè, i divani in pelle tipo Chester, i lampadari viennesi, gli specchi e il portacappelli in ottone. Il dehors, posto in area pedonale, ospita tavoli e sedie in stile viennese e ombrelloni colorati.

Ogni anno l’evento It4Fashion, organizzato da PIN e LOGIS LAB/Università degli Studi di Firenze, richiama a Firenze le principali aziende europee che operano nelle nuove tecnologie applicate al settore della moda. Nell’aprile del 2015 la manifestazione si è tenuta negli spazi della ex “Manifattura Tabacchi”, fabbrica di tabacco costruita tra il 1933 e il 1940, probabilmente su progetto dell’ingegnere Pier Luigi Nervi, e chiusa dal 2000, anno della sua dismissione. Gli allestimenti dell’esposizione, tra l’altro, hanno permesso il ripristino di tre dei padiglioni abbandonati che hanno ospitato sale conferenze e stand espositivi. L’intervento di maggior impatto architettonico e visivo è stato quello della rampa di accesso che conduceva i visitatori alla reception attraverso il grande piazzale di ingresso. La rampa si sviluppava lungo 20 metri superando un dislivello di 120 cm ed è stata inserita tra due setti strutturali in legno, tinteggiato in bianco nella fascia inferiore e coperto da lastre metalliche in quella superiore. Le due parti erano divise da una striscia colorata che accompagna la salita. Il punto di partenza della rampa era caratterizzata da due blocchi monolitici rivestiti di lastre di ferro, brunito e leggermente ossidato. Si tratta di un riferimento diretto al contesto post-industriale ed anche un omaggio a Richard Serra, l’artista americano famoso per l’utilizzo di lastre metalliche nelle sue opere scultoree.

Biolago

Il progetto intende riattivare e sviluppare la presenza di due sorgenti termali, elementi essenziali del territorio sia dal punto di vista storico che sociale. Per questo il progetto è stato pensato, come un sistema di luoghi coinvolti dal movimento delle persone che, come l’acqua, entrano negli invasi per poi ritornare al percorso naturale. Come l’acqua calda delle due sorgenti si immette nella vasca superiore riscaldandola, così le persone dalla rampa d’ingresso scendono verso la balneazione naturale, incontrando i diversi cubi in policarbonato e legno che costituiscono i servizi (cassa, deposito, spogliatoio, bar, modulo invernale di accesso alla vasca). Con la balneazione l’acqua sorgiva e le persone entrano in contatto procedendo idealmente nella stessa direzione. Così dalla prima vasca, a una temperatura di 37°, le persone e l’acqua si spostano nel secondo invaso con una temperatura inferiore per poi tracimare metaforicamente nel laghetto naturale balneabile. L’invaso artificiale diviene naturale, l’acqua in eccesso ritorna al suo percorso, l’uomo conclude il suo cammino con la natura e nella natura. Il biolago è costituito da una zona balneabile, con acqua profonda, e da una zona di acqua bassa, dove sono state messe a dimora piante palustri, acquatiche e sommerse che svolgono un’azione fitodepurante e ossigenante. La loro funzione è incrementata dall’utilizzo di ghiaia e zeolite.

L’intervento intende recuperare e integrare un vecchio presidio già adibito ad orfanotrofio sito su una porzione di territorio collinare prossima al centro storico di San Miniato. Riattivandone le connessioni relazionali attraverso il riuso dei “vicoli carbonari” utilizzati fino al secolo scorso dai carbonai per portare il carbone in città ed attraverso il riutilizzo di percorsi nel bosco circostante il plesso per garantire la sorveglianza e la manutenzione dei versanti. Il progetto “Casa Verde”, così storicamente chiamata per la forte valenza sociale (Casa/orfanotrofio – Verde/immersa in un bosco di Lecci), è di fatto una ricerca di legami di fratellanza: 1_Con il bosco, per mezzo dello studio delle sfumature di colore che le foglie hanno nelle diverse stagioni; 2_Con le “ragazze ospiti”attraverso la rilettura dei loro lavori grafici riportati attraverso il lettering adesivo sulla facciata in vetro; 3_Con la città tramite il recupero dei “vicoli carbonai” (utili e necessari per la manutenzione dei versanti); 4_ Con la ricerca verso la luce naturale (filtro vano scala principale); 5_Con il vecchio paesaggio attraverso il mantenimento del filare secolare di cipressi tangenti alla struttura. 6_Con l’arte attraverso l’artista Mercurio-S17S71 che rileggendo il volto degli “ospiti” ha creato una collezione di opere contemporanee.

iTEK Showroom

È difficile credere che l’architettura sia principalmente “fermezza”, solida e granitica materia, capace di adattarsi alle molteplici variabili del vivere e rispondere alle innumerevoli esigenze della “società liquida”. In questo piccolo progetto per lo showroom di una società che si occupa di impianti domotici, si è indagato la possibilità dell’architettura di essere al tempo stesso “denotante” e “demarcante”, cioè la possibilità di definire gli spazi con demarcatori leggeri, penetrabili ma non modificabili. Il pretesto di questo gioco/esperimento è stato la richiesta della committenza di sfruttare un open space, esaltando con un nuovo progetto, le potenzialità della tecnologia domotica in tutti i suoi aspetti. Dovevamo cioè far passare il fruitore dallo spazio di una modesta situazione urbana di periferia ad uno spazio indoor attraente, rilassante, coinvolgente, far sentire il passaggio di dimensione e creare una predisposizione “all’ascolto”. Lavorare su una monocromia bianca è stata il primo elemento di svolta. Un colore neutro era la scelta ideale per proiettare qualsiasi combinazione della tecnologia RGB light. L’open space esistente, privo di qualsiasi valore architettonico è stato l’ulteriore elemento che ci ha spinto verso l’utilizzo di elementi di tessuto a sezione circolare per la configurazione di spazi interni. Questa scelta crea uno spazio morbido e pulito e valorizza al meglio la tecnologia esposta.

Edificio ERP

Fabbricato composto da n. 16 alloggi per edilizia residenziale pubblica, ubicato su area comunale interposta tra la Via Aurelia e la Via P. P. Pasolini. Progettato con criteri di sostenibilità e controllo climatico mediante lo studio della configurazione geografica in rapporto all’illuminazione naturale. Dotato di impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica e solare termico, oltre a caldaia centralizzata ad alto rendimento con gestione autonoma sui singoli appartamenti. Esterni protetti da brise-soleil per una corretta gestione dell’illuminazione solare. Accessibilità ai disabili, di cui un appartamento dedicato ai portatori di handicap. Acustica controllata tra le strutture verticali ed orizzontali mediante guaine ad alte prestazioni.

Camera con vista

Il tema è “la camera d’albergo”, sintesi abitativa che accoglie e riflette il bagaglio culturale di ognuno di noi, integrando funzionalità e prestazioni climatiche alla qualità architettonica. Uno scenario di sintesi che appare al momento stesso dell’apertura della porta d’ingresso. In pochi secondi l’impatto emotivo coinvolge, insieme alla vista, gli altri sensi: luce, colori, diffusione dei suoni, corposità di una maniglia o di un tessuto, odore dei materiali. Non importa se la camera sarà usata una sola notte o più, ma anche i minimi particolari devono essere integrati in questo microcosmo. A fine di conferire una scala domestica agli spazi dell’albergo, abbiamo utilizzato carte da parati ispirate al’epoca della struttura e stampe in stile inglese come le dimore borghesi anni’40 e ’50, legandoci cosi alle atmosfere residenziali della zona. Abbiamo reinterpretato camera per camera le vicende di Villa Pesenti e le sue stratificazioni nel tempo, mettendo in luce i valori identitari del luogo, rendendo chiari gli arredi autentici e integrando tratti di contemporaneità. Il legame con l’ambiente esterno è costante in ogni stanza: da ogni finestra gli scorci sul paesaggio sono differenti e ogni allestimento è un proseguimento dello sguardo. Dunque l’antico e il nuovo vivono nelle scelte progettuali di modo che gli spazi interni si connettano dialetticamente con le facciate, i percorsi esterni e gli elementi architettonici presenti.

Il progetto riguarda il completo recupero di un magazzino industriale in abbandono per la realizzazione della nuova Sede di un importante Studio Legale. L’immobile si trova all’interno di un isolato nella zona otto-novecentesca a ridosso dei Viali ed occupa l’intero piano terra di un edificio del 1960 ed una piccola costruzione adiacente posta nel cortile tergale. La planimetria dell’esistente, caratterizzata da una grande profondità del corpo di fabbrica e dalla conseguente scarsità di aperture in rapporto alle grandi superfici disponibili, è stata risolta con la creazione di una “piazza interna” che costituisce uno spazio polifunzionale posto all’interno dell’edificio dove, oltre ad essere il cuore del sistema distributivo dello Studio, è anche sala di lettura e spazio per ospitare incontri e seminari. Lungo le pareti sono presenti una serie di nicchie che contengono i numerosi volumi della biblioteca dello Studio alternate alle aperture che, grazie a pannelli scorrevoli, danno l’accesso a tutti gli uffici. Nella palazzina adiacente sono collocati gli studi direzionali ai quali si accede, seguendo il lungo banco in legno della reception, salendo una scala a sbalzo con gradini che aggettano da un setto murario rivestito in travertino con finitura “cannetè”. I prospetti sul cortile sono stati ridefiniti così come l’accesso che dalla strada conduce all’interno dell’isolato dove un lungo “tappeto” in legno posto sulla ghiaia del cortile accompagna i visitatori verso l’ingresso

La nuova cantina di Podernuovo è a San Casciano dei Bagni, centro medievale a sud est di Siena, lungo le colline del Chianti e verso il confine con l’Umbria. Una sequenza di quattro setti paralleli di cemento color dell’argilla fendono il terreno secondo una giacitura che segue la massima pendenza della collina. Il territorio continua nell’architettura. Un principio di purezza funzionale attraversa tutti gli spazi della cantina, concepita come estensione del lavoro contadino e della cultura del territorio che entrano vigorosamente, attraverso i setti, nel cuore dell’architettura. L’edificio definisce i suoi ambienti in funzione delle strette esigenze di produzione e trova la propria origine nel paesaggio circostante. Nell’edificio tutto è in vista: a partire dai grandi setti murari per continuare nelle attrezzature funzionali alla produzione fino agli impianti meccanici. La cantina è attraversata da un asse principale che, configurandosi come un cannocchiale visivo, corre tra i due setti centrali per tutta la lunghezza dell’edificio e si apre sui vigneti. L’interno appare come una “sezione aperta” che, grazie alle ampie pareti vetrate, permette di traguardare, da qualunque punto del percorso, tutti gli ambienti della produzione del vino avendo sempre come sfondo il paesaggio toscano.

L’edificio è stato costruito nel 1940, come magazzino, privo di pregi artistici e decorativi, successivamente adibito a civile abitazione e donato alla parrocchia, per essere usato per le celebrazioni eucaristiche. Dovevamo rispondere alla fondamentale esigenza della committenza, la parrocchia, di ottenere, nel nuovo progetto, un’aula priva di qualsiasi struttura muraria che impedisse la visione diretta del presbitero durante la celebrazione. Oltre alla ricerca di una nuova e più appropriata distribuzione interna, volevamo che il luogo di culto si prolungasse all’esterno, con un sacrato, in parte coperto, luogo di sosta e di aggregazione per gli abitanti del quartiere. Alla facciata è applicato un rivestimento, una “facciata ventilata”, che impedisce la vista dal basso della copertura, isola termicamente la parete esterna e “incornicia” il portale d’ingresso, evidenziandolo. Il portale non risulta un elemento edilizio aggiunto alla facciata, ma ha una continuità strutturale con le travi interne ed una continuità visiva con il resede esterno, sulla strada. Questo diviene “pausa architettonica” rispetto agli edifici circostanti, privo di segni superflui, sobrio e, con il piccolo sagrato antistante, introduce il fedele all’interno della cappella. “Pausa architettonica” che consente di rispondere alle esigenze della Commissione Episcopale Italiana che ci impone la “riconoscibilità del luogo di culto”. L’ingresso è delimitato da due fioriere laterali che diventano sedute.

ampliamento di abitazione monofamiliare

Premio Architettura Toscana

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