Il Museo del Palio e del Costume della Contrada della Tartuca a Siena è situato in via Pendola, nella parte più vecchia della città. Il progetto, seicentocinquanta metri quadrati di superficie espositiva divisa in due piani, è parte di un’ampia previsione di ristrutturazione di ambienti, risultato di aggregazioni temporali spontanee, di proprietà della contrada. Per questo motivo, il progetto si poneva l’obiettivo, oltre che espositivo, di dare omogeneità formale all’intero intervento, attraverso la riconnessione degli ambienti con passaggi e collegamenti visivi. Attraverso la rettifica di muri ovviamente eterogenei, l’uso degli spazi di risulta come nicchie espositive e la messa in scena di ritrovamenti come testimonianza di un passato da tramandare, la volontà di creare spazi contemporanei che fossero a servizio della comunità, hanno portato la visione progettuale oltre il concetto di museo. Non solo spazi contenitori di oggetti, ma piattaforme per l’interazione tra membri di contrada e turisti. In questo modo chiunque passi da via Pendola viene catturato visivamente dall’enorme teca urbana, composta da un unico vetro di oltre cinque metri di lunghezza, che insieme alla facciata posteriore, anch’essa vetrata, sul retrostante vicolo della Tartuca, originano una reciproca e continua interazione tra interno ed esterno. Le due nuove facciate in vetro e corten, sostituzione di precedenti murature, sono il virus contemporaneo che si inserisce nel tessuto architettonico e dona vita nuova al vecchio edificio.
L’appartamento fa parte di un edificio degli anni ’60 completamente risanato dalle fondazioni alla copertura. Trattandosi dell’ultimo dei tre piani che compongono l’edificio, è stato scelto di abbattere parte del solaio che divideva l’appartamento dal sottotetto per creare un unico spazio aperto, collegando i piani con una scala in struttura d’acciaio e parapetto in vetro. Pur essendo un attico, non disponeva di nessuna terrazza, pertanto la scelta focale è stata apportare un’illuminazione diffusa in tutto lo spazio: quella naturale attraverso le due grandi vetrate prospicienti al soggiorno, attraverso l’apertura di lucernari in ogni camera, nella cucina e nella zona soppalco; quella artificiale invece è stata apportata attraverso l’installazione di velette illuminate con strip-led per enfatizzare il rivestimento a parete in bassorilievo dei bagni e della cucina. Inoltre, sopra le due grandi vetrate, sono stati inseriti dei faretti che proiettano la luce verso l’alto, quasi come un esterno, per sottolineare la verticalità del doppio volume. Seppur in stile contemporaneo, si è cercato di trovare un giusto equilibrio tra le linee regolari dello spazio, la matericità degli elementi (pietra naturale e legno) e lo stile classico della boiserie che divide la zona giorno dalla zona notte e nasconde al suo interno spazi guardaroba e la zona lavanderia. Il pavimento, in grès effetto cemento, si sviluppa su tutta la superficie calpestabile, con continuità tra tutti gli spazi.
L’appartamento fa parte di un edificio degli anni ’60 completamente risanato dalle fondazioni alla copertura. Trattandosi dell’ultimo dei tre piani che compongono l’edificio, è stato scelto di abbattere parte del solaio che divideva l’appartamento dal sottotetto per creare un unico spazio aperto, collegando i piani con una scala in struttura d’acciaio e parapetto in vetro. Pur essendo un attico, non disponeva di nessuna terrazza, pertanto la scelta focale è stata apportare un’illuminazione diffusa in tutto lo spazio: quella naturale attraverso le due grandi vetrate prospicienti al soggiorno, attraverso l’apertura di lucernari in ogni camera, nella cucina e nella zona soppalco; quella artificiale invece è stata apportata attraverso l’installazione di velette illuminate con strip-led per enfatizzare il rivestimento a parete in bassorilievo dei bagni e della cucina. Inoltre, sopra le due grandi vetrate, sono stati inseriti dei faretti che proiettano la luce verso l’alto, quasi come un esterno, per sottolineare la verticalità del doppio volume. Seppur in stile contemporaneo, si è cercato di trovare un giusto equilibrio tra le linee regolari dello spazio, la matericità degli elementi (pietra naturale e legno) e lo stile classico della boiserie che divide la zona giorno dalla zona notte e nasconde al suo interno spazi guardaroba e la zona lavanderia. Il pavimento, in grès effetto cemento, si sviluppa su tutta la superficie calpestabile, con continuità tra tutti gli spazi.
L’opera è un edificio in linea, composto da 4 piani fuori terra, piano terreno ad uso direzionale p1/2/3 uso residenziale, 15 unità immobiliari. L’edificio è stato realizzato in sostituzione di un edificio preesistente ad uso commerciale, non più idoneo funzionalmente e strutturalmente al nuovo uso, con lo stesso ingombro planivolumetrico. L’edificio si caratterizza per un volume compatto e massivo ma, allo stesso tempo, dinamico. L’opera è rivestita con un “materiale povero”, il cappotto termico,utilizzato come materiale massivo, in maniera scultorea, creando campiture e volumi compatti. L’edificio è a due facce, progettate in base alla loro collocazione e funzione. Quella lungo la strada è compatta e chiusa, direzionale, per fare cortina con gli edifici adiacenti e come barriera contro i rumori. Il fronte interno è più aperto e articolato,residenziale, vivibile anche all’esterno attraverso grandi logge silenziose. La tecnologia costruttiva è: struttura antisismica travi e pilastri in C.A, tamponamento in Poroton, cappotto termico in polistirene con spessori da 10 a 20 cm e uso di strutture steel frame per le facciate, materiali a secco per i divisori interni e le contropareti in cartongesso a 2 lastre; insieme con l’eliminazione dei ponti termici, infissi in alluminio ad alte prestazioni ed un impianto di climatizzazione centralizzato per ottenere la classe energetica “A”. Finiture:pavimentazione interna in gres nero, esterna in cls a vista e ghiaia.
La Fortezza di Arezzo è uno straordinario complesso fortificato cinquecentesco progettato da G. ed A. da Sangallo il Vecchio nei primi anni del cinquecento, ultimato da A. da Sangallo il Giovane tre decenni più tardi. Una prima fase delle lavorazioni ha riguardato i restauri specialistici dei paramenti lapidei della fortezza. Particolarissime le condizioni di degrado ed i dissesti presenti in tre dei cinque bastioni, che le truppe napoleoniche minarono nell’ottobre del 1800 facendone corpi di fabbrica sventrati e privi di volte ed orizzontamenti. Una seconda fase ha riguardato la risistemazione degli spazi interni alla Fortezza per renderli accessibili, utilizzabili con interventi di consolidamento, di restauro, di riqualificazione tecnologica e di ridisegno del sistema degli accessi e delle percorrenze, per riportare all’interno della Fortezza attività culturali, cittadini, turisti, giovani che possano scoprire o riscoprire un monumento straordinario, luogo di prima grandezza per la comprensione della Storia di Arezzo. Ai restauri specialistici si sono aggiunte integrazioni funzionali ed architettoniche con una costante ricerca del dialogo fra antico e nuovo necessarie per l’uso e la comprensione critica del complesso monumentale. Fra queste i ponti metallici, ascensori esterni, il grande palco in acciaio cor-ten, la ricostruzione del Bastione del Soccorso, sventrato dalle mine, quale nuovo accesso in acciaio e vetro con l’inserimento di un nuovo ascensore e scale.
La cantina ipogea si sviluppa su un unico livello interrato, con una altezza interna di mt.3,50 che è la minima altezza per assicurare la funzionalità operativa; anche l’adiacente volume tecnico è completamente interrato, mentre l’area esterna compresa fra i due corpi sarà coperta con una pergola in ferro, La struttura è inserita all’interno di un rilievo del terreno, minimizzando l’impatto visivo e lasciando a vista solo il fronte d’ingresso, avremo pertanto una struttura completamente interrata. Il fronte d’ingresso che si arretra rispetto al muro a secco esistente, avrà la stessa tipologia di muro, realizzato con le pietre locali murate a secco e lasciate prive della stuccatura per alcuni centimetri. La cantina risulta così incassata nella collina ed il piano d’ingresso è abbassato rispetto alla quota strada di accesso, raccordandosi con una leggera rampa, accentuando l’effetto incasso e limitando la parte emergente dal suolo da 0 a circa cm. 70. Di fronte alle aperture si delimita in questo modo uno spazio di manovra utile durante le operazioni di vendemmia e di carico/scarico dei prodotti, che verrà sovrastato da una struttura a pergolato in ferro, tamponata superiormente per metà con vetro, in modo da proteggere le suddette operazioni di carico/scarico. Tutta la copertura della cantina è a verde orticolo, arbustivo e raso, esternamente al volume è stata ripristinata l’oliveta esistente, mentre il piazzale antistante la cantina verrà pavimentato con pietra locale.
L’edificazione di un nuovo polo industriale ha suggerito lo spunto per il restauro ambientale di un luogo contaminato da un insediamento industriale anni ’70 che provocò la lastricatura dell’intera estensione dell’area.Il progetto ripropone il declivio agricolo/boschivo perduto, fasciando con verde pensile e rampicanti lo zoccolo in primo piano contenente gli impianti tecnologici per un fronte di oltre 250 mt. Tale zoccolo, sagomato a gradoni, accoglie spalliere di vitis vinifera.L’edificio retrostante affiora così solo al piano superiore, aggettando verso l’Autosole con tre lame, immediatamente percepibili a chi percorre l’autostrada.La rinaturazione si estende anche verso la collina, dove il declivio franoso è consolidato da estese terre armate ricoperte da vegetazione boschiva autoctona.L’intervento non consuma ex novo alcuna porzione di suolo in quanto utilizza un appezzamento già manomesso.Entro l’edificio, coperture fasciate di verde; giardini pensili ritagliati tra i laboratori; patii e specchi d’acqua negli interstizi tra gli edifici, anche con funzione di riserva energetica; roof garden sugli uffici; shed con futuribile copertura di rampicanti. Affinchè la rinaturazione confermasse la specificità non solo dell’orografia, ma anche della vegetazione, si sono scelte essenze abituali nelle coltivazioni locali. Oltre a vitis vinifera e prati, anche citazioni dalla tradizione contadina come ficus carica, punica granatum, zizyphus sativa e filari di populus nigra italica
Ilrestauro di una porzione delCastellodelPiagnaro prende spuntodal nuovoallestimento delMuseodelleStatueSteleLunigianesi edal connesso parziale adeguamento degli impianti,dei sistemi disicurezza edegli impianti disollevamento per disabili.Ilrecupero dell’alasud del primocortile delcastello,adibita dasempre a deposito di macerie emai sottoposta ainterventi di restauro,hamesso adisposizione del museo una superficiequasi raddoppiata eha consentito di recuperare spazidinotevole suggestione,caratterizzati da paretie voltea botte inpietra avista checostituiscono unosfondo perfettamente in sintonia conle opere esposte.L’intervento,inteso come valorizzazione delle potenzialità inespresse dell’edificio storico,sièposto l’obiettivo di creare un dialogo intenso,esaltando alcontempo i nessi monomaterici diopere espostee il castello.Grazie adinterventi di svuotamento,ed all’incisione di due nuovi passaggi,èstato possibile inventare un percorso suggestivoche prosegue alpianosuperiore,mediante una scala ricavata sopra i resti di unarampatardobarocca ritrovata,inutilizzabile per l’eccessiva altezza dei gradini,che peròresta leggibile sottola nuovascala trasparente con struttura in ferro egradini inlegno.Anche alprimopiano,interventi minimi di incisione e ricucitura,con calibrate addizioni,come la passerella che attraversa altra scala preesistente,hanno consentito di dare un significato nuovo agli spazi edicreare unpercorso continuoea senso unico,scorrevoleefluido,come quellodel pianoterreno.
Il nuovo allestimento del Museo al Castello del Piagnaro ha consentito di recuperare spazi di notevole suggestione, sfondo in perfetta sintonia con le opere esposte. Centrale al nuovo allestimento è la ricerca di un incontro non mediato del visitatore con le opere, mentre monitor e pannelli di approfondimento si inseriscono lungo il percorso in spazi appartati, in modo da non interferire con il godimento diretto dei pezzi esposti. Tale scelta consente un racconto e un ritmo narrativo stringente, così da sollecitare costantemente l’interesse dei visitatori. L’obiettivo di rendere l’allestimento attraente e suggestivo, pur in spazi austeri e con una collezione di opere omogenee, è raggiunto grazie alla scelta di affidarsi a pochi, semplici, ma non banali, elementi studiati con cura. Fondamentale l’illuminazione, perfettamente calibrata su ogni opera, con luce radente che mette in risalto il modellato poco marcato delle statue stele e al tempo stesso la lavorazione sorprendentemente dettagliata di alcune parti. Le componenti dell’allestimento tutte su disegno, sono improntate alla massima semplicità e rigore: così gli esili e discreti sostegni in ferro delle pur pesanti sculture che poggiamo su un legno basamentale celato sotto il pavimento in tavolato di castagno; i sostegni degli apparecchi illuminanti, i distanziatori e i supporti per le didascalie. Proprio grazie a questa semplicità, le pietre della Lunigiana “parlano” al visitatore, che può così coglierne, intatto, tutto il fascino e l’ipnotico mistero.
Demoliti i vecchi capannoni anni Settanta, si avvia la costruzione di un complesso industriale che vuole mitigare la volumetria necessaria e riproporre il declivio agricolo-boschivo perduto. Allineato al lotto, lo stretto corpo in calcestruzzo degli impianti si materializza come zoccolo a gradoni fasciato da pergolati di vite. Da qui aggettano tre lame, segnali immediati per chi percorre l’autostrada. In secondo piano, un parallelepipedo in prefabbricato pesante allineato al lotto, accoglie i magazzini. Sopra, al primo piano, padiglioni in carpenteria metallica ruotano di quarantacinque gradi per orientare a nord gli shed lunghi trentacinque metri definiti ai bordi da travi a cassone contenenti i cunicoli impianti. I triangoli ritagliati tra il piano terra e il primo, diventano giardini protetti. Ovunque, illuminazione diffusa e percezione dell’esterno. I tentacoli che collegano la collina al bordo autostradale reggono l’involucro degli shed ed appaiono le passerelle, percorsi di accesso e vie di fuga La mensa e gli uffici, blocchi indipendenti a struttura metallica, staccano dai magazzini grazie a sottili patii. Nella mensa per trecento posti, copertura con unico lucernario, sopra schermato da pergolato completamente fasciato da pergolati di vite. Negli uffici, tre piani aperti verso una hall centrale a tutt’altezza, fulcro dei percorsi, coperta anch’essa da un lucernario totale a pergolato. Da ogni postazione, vista a trecentosessanta gradi sui giardini, verso nord attraverso una vetrata totale, verso ovest attraverso una seconda pelle verdeggiante.
L’opera, per la quale si concorre nella sezione opere di interni, consiste nell’allestimento di un’importante agenzia assicurativa all’interno di un intervento complessivo (attuato da altri tecnici con altra committenza) di trasformazione di un ex edificio a destinazione artigianale, occupato originariamente ad autocarrozzeria, nella zona industriale di Pistoia. Il progetto di allestimento dell’agenzia si è basato sul mantenimento del carattere post-industriale dei locali, in particolar modo per quanto riguarda la parte destinata ad accogliere i clienti e gli uffici operativi e dirigenziali. Da qui la decisione di non controsoffittare tutto l’ambiente alla quota d’imposta della volta ma di mantenere la stessa in vista, creando per gli uffici dei “box” vetrati indipendenti, mentre le due postazioni centrali di ricevimento della clientela sono state rese autonome con due “portali” in cartongesso, portali che spiccano sullo sfondo rosso del “monolite” a tutta altezza destinato ad archivio e bagni. Il corridoio “ad onda” collega la parte “istituzionale” dell’agenzia con quella più “operativa”; qui i locali, nati da un’addizione eseguita nel tempo all’edificio principale, hanno copertura piana ed un carattere meno interessante che si è cercato di migliorare realizzando quattro sale riunioni, di uguali dimensioni, ma caratterizzate ciascuna da un colore diverso.
2018 - 2022 © Tutti i diritti riservati. Fondazione Architetti Firenze, Via Valfonda 1/a, 50123 Firenze
Cod.Fisc./P Iva 06309990486 | Privacy Policy | Cookie Policy
Design by D'Apostrophe | Developed by Shambix