L’intervento per il nuovo laboratorio è riferito all’ampliamento dell’attività di trasformazione dei prodotti aziendali della Fattoria di Rimaggio. La configurazione architettonica unisce esigenze di tipo funzionale con esigenze estetiche, trovandosi all’interno di un contesto storicizzato e dove, nel tempo, si sono sovrapposti segni della storia rappresentati da fabbricati di vario genere, dalla composizione volumetrica all’uso dei materiali. A questi, ed in particolar modo a quelli di maggior pregio, si riferisce il progetto, non prescindendo da una accurata lettura del luogo per un corretto inserimento nel contesto ambientale.

Villino

Il villino oggetto della presente è ubicato in Firenze, via di Ripoli nc.74. La costruzione del fabbricato risale al 1952. Prima dell’intervento era costituito da un’unica unità abitativa che si sviluppava su due piani fuori terra oltre un sottotetto ed un seminterrato, dove trovava locazione il locale cantina. Era composto da dieci vani compresa la cucina, oltre servizi ed accessori. L’intervento ha comportato il frazionamento del villino in due unità distinte, una al piano terra ed una al piano primo. Per ottenere la divisione sono state necessarie modifiche interne ed esterne volte alla riorganizzazione funzionale. Grazie allo studio millemetrico della superficie a disposizione, alla definizione di soluzioni studiate su misura e all’uso di materiali considerati poveri, come ferro e legno, il villino, della metà del novecento, si è trasformato in due appartamenti confortevoli, mantenendo l’identità storica dell’involucro e dandoci la possibilità di rientrare nel budget a disposizione. Tutte le modifiche sono state realizzate nel rispetto del sistema strutturale-tipologico e sono conformi agli strumenti di pianificazione urbanistici ed edilizi vigenti. Obiettivo dell’intervento è stato valorizzare l’esistente, mantenendo laddove possibile gli elementi originali dell’edificio come la struttura del solaio di copertura e la muratura originaria riportata a “faccia vista”. Completa il progetto il grande giardino.

C’erano una volta due anime buone che, stanche della nebbia, decisero di lasciarla alle spalle e trascorrere il resto del tempo felici e contenti a contatto col salmastro. Da qui nasce l’idea progettuale, ma anche dalla voglia di riscatto e di riempirsi occhi e cuore di blu. Un vecchio appartamento anni ‘60 situato lungo la riva del Porto di San Vincenzo è stato oggetto di una ristrutturazione che lo ha trasformato radicalmente. Gli spazi sono stati disegnati per avere un contatto visivo costante con il mare, motivo per cui già con l’ingresso si è voluto ricreare un cannocchiale che indirizza l’occhio verso l’esterno tramite un gioco di superfici inclinate e luci lineari. E’ stata inoltre creata un’unica zona giorno che si apre sulla terrazza nella quale le superfici ed i volumi dedicati a cucina e pranzo si incastrano gradualmente in quelli dedicati al soggiorno. Lo spazio principale è abbracciato dai mobili contenitori la cui superficie liscia è alternata con delle nicchie dipinte con i colori del mare, questi inoltre sono stati progettati in modo che potessero dare connotazioni diverse allo spazio pur mantenendo un disegno unitario: è così che essi fungono sia da guardaroba che da nicchia-studio, sia da mobile tv-radio che da libreria, sia da credenza che da esposizione ed infine celano le porte che danno sulle due zone notte. Entrambe le camere guardano il paesaggio e sono dotate di cabine armadio e bagni, anche quest’ultimi parlano del territorio tramite i rivestimenti.

Un’antica chiesa medievale con annesso ospedale per i pellegrini, già ampliata e trasformata nel corso del Cinquecento torna a vivere dopo un lungo abbandono. Spogliata dei suoi arredi e utilizzata per gli usi più incongrui durante il secolo scorso il complesso è stato oggetto di un accurato restauro volto a consolidare le sue strutture e recuperarne l’assetto originario perduto nel tempo. L’oratorio con l’annessa canonica rivelano oggi le proprie membrature libere da superfetazioni, mentre i volumi accolgono inserti architettonici in grado di dialogare con essi senza alternare la percezione complessiva degli ambienti. Con particolare attenzione alla natura degli edifici sono stati inseriti impianti tecnologici in grado di rispettare la vocazione del luogo e garantirne l’efficienza per un uso finalmente compatibile con la sua storia. Arredi antichi e contemporanei si uniscono a far rivivere lo scorrere del tempo.

Il museo CAD è stato fortemente voluto dalla Fondazione Amalia Ciardi Duprè per realizzare il sogno di Amalia, che in via degli Artisti aveva il suo laboratorio, all’interno di un fondo che negli anni era stato frazionato in diverse unità immobiliari. Il progetto ha comportato il recupero della conformazione originaria dello spazio architettonico mediante la fusione delle suddette unità, lasciando intatto l’atelier dell’artista posto sul retro e creando uno nuovo spazio espositivo nella parte frontale, con affaccio su via degli Artisti. L’ampia altezza del locale ci ha suggerito la creazione di un soppalco, che oltre ad aumentare lo spazio espositivo permette fruizione delle opere installate al piano terra da un punto di vista insolito. Per l’ingresso del museo abbiamo creato una sorta di quinta scenica, con la creazione di una bussola vetrata arretrata rispetto al filo della facciata dove il classico bugnato preesistente contrasta con i nuovi infissi in vetro ed alluminio color titanio. Un’ampia porta vetrata mette in comunicazione lo spazio espositivo con l’atelier dell’artista: le grandi dimensioni degli infissi sono necessarie per la movimentazione delle sculture. I nuovi ambienti sono stati creati utilizzando materiali contemporanei come acciaio, vetro e legno in tinte neutre per esaltare maggiormente le opere esposte. Il logo del museo, che ricorre nelle insegne e nel merchandising, è stato creato utilizzando la sigla CAD, la firma con cui l’artista sigla le sue opere.

Cantina Ornina

La cantina vinicola Ornina nasce dall’incontro fra un architetto fortunato, una committenza illuminata, una ditta paziente, un’amministrazione comunale molto aperta. Nella progettazione si è partiti dallo studio del luogo e dell’azienda, infatti l’edificio è concepito per rappresentare un prodotto fortemente legato al territorio da cui nasce. I vini, fortemente innovativi, nascono da una sperimentazione fatta con tre elementi: terra, vento e luce, seguendo tecniche di coltivazione biodinamiche. Così l’edificio è stato concepito in rapporto con la terra circostante, con la luce e con i panorami del Casentino. La cantina non è completamente interrata ma emerge dal pendio e garantisce un rapporto diretto con l’esterno: i percorsi (che hanno costituito parte integrante della progettazione) sono studiati per creare una forte interconnessione con il terreno fino a fondersi con la copertura verde. Le aperture, non eccessivamente grandi, sono poste in punti di particolare interesse dei percorsi per offrire viste sia dall’interno verso l’esterno che viceversa. Anche il ciclo di produzione del vino ha avuto la sua parte nella creazione degli spazi, in modo da garantire una lavorazione per caduta, con utilizzo minimale di macchinari elettrici. In linea con la filosofia di produzione dell’azienda Ornina, l’intero edificio è costruito in bioedilizia e concepito per essere autosufficiente dal punto di vista energetico.

L’intervento riguarda il recupero a fini abitativi di un rudere costituito dall’aggregazione di diversi corpi edilizi di varia storicità dislocati su più livelli al di sopra di un terreno in forte pendenza . L’intervento di restauro è consistito nel preservare quanto possibile e nell’evidenziare i nuovi interventi con un linguaggio contemporaneo evitando false ricostruzioni dai tratti vernacolari. I due grandi volumi vuoti di partenza sono stai collegati tra loro ed utilizzati su più livelli nella ricerca della massima fruibilità degli spazi. L’ingresso principale , come nella più classica tipologia di casa rurale toscana, avviene dalla cucina a sua volta aperta sulla zona pranzo e affacciata sul primo livello del giardino. Una nuova scala inserita all’interno del terrapieno conduce all’ampio volume del soggiorno ( ex granaio) che si affaccia su un secondo livello di giardino. I grigliati esistenti sono stati risolti con serramenti in acciaio di minime sezioni e il doppio volume è accentuato da un portale in corten a doppia altezza. L’accesso alla zona notte padronale è dato attraverso un soppalco adibito a studio al quale si accede da una scala volutamente staccata dalla tessitura muraria facciavista. Gli arredi sono su disegno e generalmente integrati nella struttura muraria . Particolare attenzione è stata posta nel sottolineare il rapporto dell’interno dell’edificio con lo straordinario contesto naturalistico in cui è inserito.

Castagneto Carducci è un borgo tra i più suggestivi della Costa degli Etruschi ed è dove nasce l’ex Officina del Gusto, un caffè con cucina. Il contesto vede i centri storici svuotarsi e diventare delle cartoline piuttosto che essere fulcri della vita sociale, sempre più attività chiudono e le rimanenti non tengono il passo coi tempi. Nasce quindi l’esigenza di un rinnovamento generale che va dal ripensare un intero contesto e arriva nel particolare a far rinascere le attività esistenti. E’ in questo senso che il fondo dove aveva sede un’officina meccanica viene convertito in un locale che si distingue dagli altri sia per la spazialità che per i servizi dati. L’idea alla base del progetto è quella di eliminare le superfetazioni riportando alla luce e valorizzando le caratteristiche identitarie costruttive dell’edificio storico e farlo rivivere in chiave contemporanea. La matericità di pareti in pietra ed archi in mattoni si contrappone alle linee semplici di arredi e luci in metallo; il calore viene esaltato dall’utilizzo del legno sia per la superficie pavimentata che per bancone, mensole e tavoli, quest’ultimi inoltre raccontano un po’ di storia del territorio grazie all’impiego di barrique usate per il vino Bolgheri DOC. Lo spazio è organizzato per esaltare la fluidità e per mantenere sempre il contatto con la vallata esterna, e in tal senso è stata ideata la “cucina a vista-con vista”, uno spazio aperto sia sulla sala consumazioni che sul paesaggio.

Il recupero del complesso duecentesco di Sant’Agostino a Montalcino, dichiarato monumento nazionale e vincolato ai sensi delle Leggi 1089/1939, è il risultato di un iter realizzativo condiviso tra il progettista e le Soprintendenze interessate – Soprintendenza ai Monumenti di Siena e Grosseto, Soprintendenza archeologica di Firenze, Soprintendenza ai beni artistici di Siena e Soprintendenza generale di Roma – che hanno collaborato come consulenti specialisti mediante continui e puntuali contributi, e che ha visto dal 2013 investimenti regionali, comunali e privati superiori ai tre milioni di euro, al fine di restituire alla città un luogo che potesse diventare uno spazio di condivisione culturale attiva. Un recupero dunque funzionale al riuso al fine di ridefinire l’identità dell’edificio: il metodo è stato quello della stratificazione “astilistica” in equilibrio tra tradizione e innovazione, dove sono compresenti attività museali e culturali e quelle imprenditoriali, formative e divulgative. Lungo un percorso urbano costituito dai due chiostri trecenteschi e una nuova piazza prima interclusa, sono attualmente presenti il museo archeologico etrusco, il museo diocesano della provincia di Siena, il laboratorio di restauro degli affreschi della chiesa di Sant’Agostino, la nuova sede del Consorzio del Brunello e una scuola residenziale di architettura con la funzione di incubatore culturale per seminari didattici internazionali su temi diversi.

Collocato in un edificio quattrocentesco, che fu adibito anche a monastero, si trova nel centro storico di Piombino, a pochi passi dal municipio e dal mare. Sulla facciata un bassorilievo in pietra è di difficile interpretazione poiché gli stemmi furono scalpellinati da Cesare Borgia nel 1502 per obliterare la memoria dei precedenti signori, gli Appiani. L’ultimo uso dei locali fu poi come ristorante (chiuse nel 2010), ma già dagli inizi del ‘900 ospitava un bar. Negli anni ’20 la Ramazzotti indisse un premio in denaro per l’esercizio che più avesse consumato il loro amaro. Giovanni Sansoni, proprietario del bar, creò allora l’aperitivo Nanni, pubblicizzato dalla gigantografia tuttora posta tra le due porte di accesso, che recita “Siamo vecchi e si preferisce sempre il Nanni” e il Bar Nanni vinse il premio. La sfida progettuale era allora quella di ridare vita a un locale molto caro ai Piombinesi: per questo abbiamo realizzato un mix tra antico e moderno, dando al locale un aspetto classico ed elegante, capace di evocare i caffè storici in modo attuale. Il progetto coniuga infatti materiali “moderni” quali il gres porcellanato per il pavimento, l’acciaio corten del bancone ed i tavoli, il vetro decorato a foglia oro dei piani dei tavoli e del bancone, con la boiserie della sala da tè, i divani in pelle tipo Chester, i lampadari viennesi, gli specchi e il portacappelli in ottone. Il dehors, posto in area pedonale, ospita tavoli e sedie in stile viennese e ombrelloni colorati.

Ogni anno l’evento It4Fashion, organizzato da PIN e LOGIS LAB/Università degli Studi di Firenze, richiama a Firenze le principali aziende europee che operano nelle nuove tecnologie applicate al settore della moda. Nell’aprile del 2015 la manifestazione si è tenuta negli spazi della ex “Manifattura Tabacchi”, fabbrica di tabacco costruita tra il 1933 e il 1940, probabilmente su progetto dell’ingegnere Pier Luigi Nervi, e chiusa dal 2000, anno della sua dismissione. Gli allestimenti dell’esposizione, tra l’altro, hanno permesso il ripristino di tre dei padiglioni abbandonati che hanno ospitato sale conferenze e stand espositivi. L’intervento di maggior impatto architettonico e visivo è stato quello della rampa di accesso che conduceva i visitatori alla reception attraverso il grande piazzale di ingresso. La rampa si sviluppava lungo 20 metri superando un dislivello di 120 cm ed è stata inserita tra due setti strutturali in legno, tinteggiato in bianco nella fascia inferiore e coperto da lastre metalliche in quella superiore. Le due parti erano divise da una striscia colorata che accompagna la salita. Il punto di partenza della rampa era caratterizzata da due blocchi monolitici rivestiti di lastre di ferro, brunito e leggermente ossidato. Si tratta di un riferimento diretto al contesto post-industriale ed anche un omaggio a Richard Serra, l’artista americano famoso per l’utilizzo di lastre metalliche nelle sue opere scultoree.

Biolago

Il progetto intende riattivare e sviluppare la presenza di due sorgenti termali, elementi essenziali del territorio sia dal punto di vista storico che sociale. Per questo il progetto è stato pensato, come un sistema di luoghi coinvolti dal movimento delle persone che, come l’acqua, entrano negli invasi per poi ritornare al percorso naturale. Come l’acqua calda delle due sorgenti si immette nella vasca superiore riscaldandola, così le persone dalla rampa d’ingresso scendono verso la balneazione naturale, incontrando i diversi cubi in policarbonato e legno che costituiscono i servizi (cassa, deposito, spogliatoio, bar, modulo invernale di accesso alla vasca). Con la balneazione l’acqua sorgiva e le persone entrano in contatto procedendo idealmente nella stessa direzione. Così dalla prima vasca, a una temperatura di 37°, le persone e l’acqua si spostano nel secondo invaso con una temperatura inferiore per poi tracimare metaforicamente nel laghetto naturale balneabile. L’invaso artificiale diviene naturale, l’acqua in eccesso ritorna al suo percorso, l’uomo conclude il suo cammino con la natura e nella natura. Il biolago è costituito da una zona balneabile, con acqua profonda, e da una zona di acqua bassa, dove sono state messe a dimora piante palustri, acquatiche e sommerse che svolgono un’azione fitodepurante e ossigenante. La loro funzione è incrementata dall’utilizzo di ghiaia e zeolite.

Premio Architettura Toscana

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