Un intervento contenuto, se opportunamente ideato, ha il potere di innescare meccanismi dalle ricadute ben più ampie, capaci di risvegliare l’interesse e la curiosità degli individui e potenziare la comprensione di un determinato contesto. L’installazione in località Arginvecchio consiste nella creazione di un padiglione espositivo temporaneo, un elemento effimero nato da un’urgenza creativa in grado di stimolare una riflessione sul ruolo poetico e fondativo dell’architettura. È questo un recinto che, come uno scrigno, ospita al suo interno un piccolo annesso rurale abbandonato, testimonianza, nella sua semplicità, dell’autenticità e del valore archetipo dell’edilizia minore. Il padiglione, fatto di teli traslucidi composti su uno scheletro ligneo, reinterpretazione di materiali locali, crea uno spazio interno, un luogo neutrale di giudizio il cui unico accesso guida alla scoperta di un nuovo microcosmo. Questo luogo si contrappone a quello esterno che spesso presenta corpi estranei al paesaggio agricolo tradizionale. Alla mancanza di una forte teoria architettonica del contesto, dove si è persa la conoscenza delle tecniche edilizie legate al territorio, il progetto risponde con un’architettura essenziale fatta di elementi e materiali semplici composti in modo espressivo. Partendo da un oggetto dimenticato, il padiglione sottolinea il rudere e ne amplifica il valore permettendo a questo di imprimersi nella memoria del visitatore.

La costruzione di una capanna, di modeste dimensioni, nasce dalla volontà di donare un nuovo segno riconoscibile all’interno del paese di Farnocchia. Tale simbolo mira ad instaurare un dialogo con il paesaggio circostante e a riportare alla luce, mediante una nuova interpretazione, i caratteri latenti del territorio. L’opera è concepita come un rifugio spirituale, un’occasione di riflessione e meditazione, un polo capace di attrarre e far sostare. Dall’esterno, le forma archetipa tronco piramidale reinterpreta, senza tuttavia ridursi a una mera copia, i segni propri del territorio ed in particolare quelli delle vecchie capanne di forma triangolare che in passato caratterizzavano l’area, ormai quasi del tutto scomparse. L’entrata, sottolineata dal varco stretto d’accesso che invita all’esplorazione, è filtrata da un blocco di pietra dove è possibile sedersi, attendere ed arrestare il tempo. Tale dispositivo lapideo costituisce simbolicamente una scala che aspira ad una monumentalità contenuta e convive armoniosamente con la domesticità ed intimità dello spazio. All’interno l’ambiente in penombra è illuminato da un lucernario, dal quale penetrano luce zenitale, pioggia e vento, e da una candela. La struttura, facilmente assemblabile e smontabile, è costituita da un telaio rivestito con un materiale semplice quale il legno. La costruzione è il frutto di un’opera partecipata per la comunità di Farnocchia.

Nel cuore produttivo di Poggibonsi, la VITAP Costruzioni meccaniche Spa si rigenera mostrando la capacità realizzativa delle nuove macchine. Il progetto architettonico prevede di creare una facciata tecnica con una trama incisa di esagoni in continuità con l’edificio principale, una soluzione dal carattere contemporaneo con un contrasto tra pieno e vuoto retroilluminato che si sviluppa con effetto graduale. L’idea del concept ruota intorno alla figura geometrica dell’esagono, è il poligono che permette di organizzare nel modo più efficiente uno spazio, evitando sprechi e dissimmetrie; la trama delle celle esagonali evoca la laboriosità delle api e il loro messaggio intrinseco che le difficoltà sono superabili soltanto con assidua applicazione e totale impegno. Di giorno la facciata scherma la parete retrostante e risolve la precedente immagine frastagliata, di notte invece si ottiene un effetto di grande impatto, i vuoti illuminati aumentano di densità parallelamente all’aumento dell’oscurità, come una piccola porzione di cielo stellato. L’intera facciata è progettata utilizzando pannelli lavorati meccanicamente, è stato usato un laminato decorativo compatto ad alta pressione (HPL); le dimensioni dei moduli sono state scelte per ottimizzare il materiale e con l’obiettivo di creare una continuità di impatto che facesse percepire una superficie omogenea.

Signa, è un comune della città metropolitana di Firenze. Adagiato tra le colline, porta in sé una memoria artigiana importante, la storia culturale, artistica ed economica della piana fiorentina dove, nei secoli, è fiorita la coltivazione del grano, della paglia da cappello e della tecnica dell’intreccio. Aperto per la prima volta nel 1997, il “Museo della Paglia e dell’intreccio Domenico Michelacci” costituisce lo spazio espositivo in cui sono conservate, promosse e valorizzate le tradizionali lavorazioni della paglia del distretto. Il trasferimento nella nuova sede ha finalmente permesso al Museo di ricollocare la sua intera collezione di oggetti, opere d’arte e il tanto materiale documentario, bibliografico, archivistico, fotografico. Organizzato su tre livelli, vi si accede dopo aver attraversato una terrazza affacciata sul piccolo spazio pubblico alberato e una hall, costituita da un ampio volume dal soffitto voltato. La disposizione planimetrica dei primi due livelli è simile, con percorsi comuni e collegamenti verticali che si incrociano tra loro, delimitando quattro spazi equivalenti agli angoli del fabbricato. Suddiviso in più sale espositive, alcune dedicate ad esposizioni permanenti, altre a mostre tematiche/temporanee, il Museo ospita differenti tipi di paglia e grano, trecce, ornamenti, “bigheri”, abiti e calzature, oggetti intrecciati in fibre naturali o artificiali di ogni tipo, ricami e tessuti, macchinari, attrezzature e una selezione di cappelli.

L’intervento di restauro di Villa Ceragioli ai Ronchi si confronta con l’edificio degli architetti Aldo Rossi e Leonardo Ferrari, cercando di riportare alla luce i caratteri propri di questo luogo iconico. L’intervento si focalizza su alcuni degli elementi cardine della villa come gli ambienti al piano terra, le grandi vetrate angolari e le finiture sulle facciate, un progetto delicato e attento che ha voluto riproporre fedelmente il disegno originario degli elementi. Nell’ottica di far conoscere la villa, opera prima del famoso premio Pritzker, si è anche prodotta un’installazione-open house in grado di rivelare gli elementi compositivi e teorici alla base del progetto originario. In tale rilettura spaziale, l’impiego di tronchi ricavati da un albero di pino costituisce il mezzo di interazione con la villa e la pineta circostante. Come delle rovine classiche, una colonna è stesa nel giardino, un’altra si erige nell’angolo della casa, una terza si dispone al centro del salone con un capitello vitreo come supporto espositivo, mentre cinque rocchi sono disseminati nel prato.

Dopo un iter progettuale lungo e pieno di cambiamenti e ripensamenti, durato ben 16 anni, nell’arco dei quali sono stati elaborati 3 progetti, il seguente è la loro sintesi. La rilevanza dell’intervento progettuale sull’edificio d’angolo tra via G. Carducci e via Piave assume un ruolo ancor più marcatamente strategico, alla luce della volontà espressa dal committente di trasferire qui parte degli uffici direzionali, trasformando il complesso in un nuovo quartier generale della banca. Il travertino viene impiegato come materiale di rivestimento di tutto l’edificio, al piano terra, quale elemento di unione dell’intero intervento, in lastre ad orditura liscia continua. I piani superiori sono caratterizzati da un rivestimento a scacchiera in lamiera di alluminio verniciato a polveri, sagomato su un profilo a doppia calandratura, ad inglobare interamente i piani primo e secondo sotto ad un brise-soleil unico. Il rivestimento “a scacchi” ricopre i due piani direzionali dell’edificio d’angolo e si estende lungo via Piave fino ad avvolgere anche parte degli attuali uffici della banca. Questo sistema di rivestimento assicura condizioni ottimali di illuminazione interna, restituendo un’immagine chiara e riconoscibile della banca alla collettività di Castelfiorentino; un’immagine nuova, in qualche modo permeabile al contesto, che filtra attraverso le maglie vuote del rivestimento.

Cinerario comune. Tra le dotazioni previste al D.P.R. 10/11/1990, n. 285 e s.m. art. 80, comma 6 “ogni cimitero deve avere un cinerario comune per la raccolta e la conservazione in perpetuo e collettiva delle ceneri provenienti dalla cremazione delle salme (…).” Nonostante la norma l’adeguamento degli impianti non è stato prodotto un numero di installazioni sufficienti alla definizione di un espressione tipologica del cinerario. Si è ritenuto con l’A.C. di sviluppare e realizzare un progetto che ne definisse l’uso come spazio pubblico definito da alcuni elementi di riconoscibilità e gradevolezza e sopratutto fruibili. E quindi la generazione di una piccola piazza, uno spazio verde all’ombra dove ripararsi nei periodi più caldi, un pozzo dove idealmente restituire la vita ed un piccolo muro della memoria dove il nome dei propri cari possa mantenerne il ricordo. Il cinerario quindi può sfruttare, a differenza degli altri impianti mortuari, una condivisione dello spazio dei vivi nel ricordo dei morti.

Il progetto si colloca nella pianura compresa tra gli insediamenti metropolitani più densamente popolati e strutturati della Toscana tra le provincie di Firenze e Prato: un’estensione territoriale di circa 7.000 ettari che rappresenta la più grande infrastruttura verde che si innerva tra margini urbani, poli della produzione e della ricerca e infrastrutture di importanza nazionale. Il progetto è andato nel tempo qualificandosi, grazie all’azione pilota della Regione Toscana, partner del progetto “Pays.Med.Urban: Alta qualità del paesaggio come elemento chiave nella sostenibilità e competitività delle aree urbane mediterranee”; con il progetto europeo “INTERREG Green Link”, si sono inoltre definite le linee guida progettuali secondo una metodologia condivisa a livello comunitario. Al tema della identità, si associano anche quelli della riconoscibilità e dell’accessibilità al Parco agricolo: l’obiettivo che ci siamo posti è quello di leggere e analizzare il territorio al fine di proporre un’interpretazione dei luoghi e del paesaggio in riferimento al tema della segnaletica e dell’accessibilità. L’azione, nello specifico, propone un sistema di segnaletica identitaria, basato sui principi dell’interpretazione territoriale e paesaggistica, finalizzato a stabilire una relazione visiva, emozionale conoscitiva tra i visitatori e i luoghi, nel rispetto di quanto indicato dalla Convenzione Europea del Paesaggio.

Casa “La Rocca” Questa casa sulle colline di Lucca rappresenta il consolidamento e la trasformazione di un edificio esistente che comprende anche un ampliamento di circa 50 mq su due piani. Al primo piano una loggia verso Sud ed un portico verso Nord si aggiungono all’ampliamento. Questi due elementi sono costruiti con un carattere “rurale” e un po’ vernacolare usando pilastri massicci e architravi in legno. La parte posteriore della casa è stata risanata e staccata dal monte in modo tale da facilitare il collegamento con la piscina, con l’interno della casa al primo piano e la nuova terrazza. Al piano terreno sono stati fatti nelle murature di spina dei tagli piuttosto ampi per poter ottenere all’interno una vista che attraversasse da parte a parte l’edificio, creando una zona giorno unica. Al piano terreno la pavimentazione è stata realizzata in pietra di Vratza levigata in formato 60×80. Le superfici orizzontali del primo piano sono rivestite in Pastellone della Pennellotto srl. Tutti i bagni sono parzialmente in rivestimenti orizzontali e verticali di Limestone Turco e parzialmente in grassello di calce di tono e colore simile alla pietra. L’area della piscina ha una vista completamente aperta sulla piana di Lucca e ha come fondale visivo proprio le sue torri.

Cantina Cupano

Il progetto ha tenuto principalmente conto dell’alto valore ambientale del luogo, con un’impronta di sostenibilità che integra l’aspetto ambientale ed economico al design. L’edificio è stato concepito per semplificare la complessità funzionale di una cantina, privilegiando soluzioni costruttive versatili per massimizzare la flessibilità degli spazi, ridurre il volume costruito e garantire comfort elevato con bassi consumi energetici potenziando quelli passivi. Il guscio esterno della nuova area di vinificazione, realizzato con cemento a vista colorato in pasta, è caratterizzato da una superficie vibrante ottenuta con una casseratura di assi da ponte di diverso spessore. Le facciate ventilate sono rivestite con tavole di abete lasciate all’ossidazione naturale, mentre le lattonerie, i canali di gronda e la copertura della zona centrale sono in acciaio corten. La struttura della zona lavorazioni, posizionata tra le due cantine, è costituita da una maglia in carpenteria metallica in acciaio nero sabbiato. Diverse tipologie di aperture conferiscono diversità materica: piccole bucature quadrate, fisse o apribili, nella quinta di cemento per illuminare la zona di vinificazione; una grande vetrata orientata a est, schermata dal verde, e la copertura apribile per l’illuminazione e il ricambio d’aria nella zona lavorazione del prodotto. Tutte le superfici vetrate sono state arretrate per evitare riflessi nel paesaggio circostante, garantendo un’integrazione ottimale con l’ambiente.

Il cimitero di Castel San Gimignano è un esempio paradigmatico di Camposanto nella campagna Toscana. La forma unitaria conserva visibili i suoi caratteri tipologici: un recinto con muratura in pietrame e campi di sepoltura su quote altimetriche sfalsate a seguire le pendenze del terreno. Il nuovo segno dei muri gabbionati contenenti pietra calcarea locale, dialogano con le sequenza lineari delle murature del recinto di confine e del muro a secco del salto di quota tra il campo superiore e inferiore. La conformazione a cappella dei nuovi loculi determina lo spazio per la preghiera e il ricordo. La massa plastica dei due cubi di pietra compongono dialettici rapporti tra interno e esterno, tra pieni e vuoti, tra memoria e presente. La scelta consapevole di impiegare muri gabbionati, utilizzati di consueto come contenimento di pendii e terre, è stata determinata dalla tensione espressa dal luogo. I muri a secco rappresentano il diretto legame fisico e spirituale con la vita di chi ha vissuto il contesto ambientale, civico e culturale. Luogo carico di storia e di lavoro con e per le terre: materia di sostentamento e di vita. Il muro a secco del terrazzamento tra i due campi è stato restaurato e integrato da una spalletta di protezione con gabbionature naturalizzate con essenze di sedum. Il campo superiore è stato piantumato a prato. Restaurati gli intonaci, la cappella esistente e le murature. Nuovi cipressi attenuano l’impatto visivo con loculi pre-esistenti.

Posto su un piccolo altopiano boscoso, dal centro si inerpica una strada carrabile che serve il borgo di Nebbiano e prosegue fino a perdersi nel bosco. Un lavoro low cost che si confronta con il concetto di confine di proprietà. Fuori da ogni luogo comune, i confini di proprietà strutturano l’intero progetto di spazio pubblico urbano: i suoi limiti, i diritti di passo, la privacy. Dal primo sopralluogo ci è apparsa l’urgenza della cittadinanza alla realizzazione di questa opera e allo stesso tempo il paesaggio boscoso e agricolo sono apparsi nella loro selvaggia espressione. Il legno con il suo fogliame e la terra sono gli elementi cardine di questo paesaggio. Abbiamo pensato all’arte povera di Jannis Kounellis, come essa sia capace di suscitare un forte impatto emotivo con i suoi assi di legno, le lamiere, le putrelle …. Abbiamo pensato di impiegare un materiale povero e di riciclo come le traversine ferroviarie per strutturare i bordi del parcheggio in un disegno dove la ripetitività del segno metta in primo piano la materia dell’oggetto. Inoltre, un percorso retrostante pavimentato con ciottoli di ghiaia sciolta lo separa dalla proprietà privata. Aiuole piantumate con Cornus alba segnano visivamente l’ingresso al parcheggio. Ci siamo mossi ai margini dell’urbanismo tattico nel disegno pavimentale: linee parallele segnano il diritto di passo e le aree di parcheggio e la strada vicinale di ingresso che diviene anche segnale visivo per l’automobilista.

Premio Architettura Toscana

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