Maremma House

L’edificio è posto su un poggio circondato da olivi e vigneti nelle vicinanze di Pereta, nella Maremma toscana. Lo sviluppo lineare della casa si associa alla dominante orizzontalità del paesaggio e alla fluida sinuosità delle colline che degradano verso il mare. La distribuzione su tre piani suggerisce una metaforica stratificazione di significati. Lo strato inferiore con le camere e i servizi tecnici presenta una facciata rivolta a oriente e rivestita da ricorsi in blocchi di tufo provenienti da cave presenti sul territorio. Questo livello costituisce la base radicata nel terreno dell’edificio rifacendosi alle centenarie tradizioni costruttive della Maremma incentrate sull’uso del tufo. Al piano intermedio il salone e la cucina si aprono su una loggia adiacente la piscina. Le facciate in intonaco bianco e la predominanza della massa muraria sui vuoti delle aperture si ispirano alla tipica architettura mediterranea. Dalla loggia una scala in metallo conduce alla terrazza superiore e alla camera padronale, a sua volta collegata alla sala con una scala interna. Il rivestimento in legno del terzo livello evoca un’architettura di tipo nautico, tale da dare all’edificio, per analogia, la forma di una nave interrata. Scale, balaustre, travature e solai esterni sono in acciaio zincato. Per contrasto gli elementi in metallo utilizzati all’interno, quali lampade, battiscopa e radiatori per riscaldamento disegnati su misura, sono in ottone o rame.

Il Forum Bertarelli è il frutto di un percorso partecipativo nel quale progettista e committente si scoprono legati dall’impegno comune nella promozione e riqualificazione del Sasso di Maremma. La proposta di Milesi di sostituire, con un teatro della stessa volumetria e budget, un piano di lottizzazione residenziale viene recepita coraggiosamente dalla famiglia Bertarelli, nonostante il progetto già presentato e oneri pagati. Il Forum trova le sue radici da un approfondito studio delle modalità insediative e instaura con il luogo un rapporto di reciproca valorizzazione. La sala concerti per 300 persone presenta una forma organica perfettamente conchiusa, misurata da proporzioni auree concepite per un’acustica non amplificata meccanicamente. Da lontano come da vicino il Forum non si percepisce come un fabbricato, poiché privo di aperture; le sue superfici scabre in cemento color terra ricordano un tumulo, fortificato dall’ondulata lastra di ferro ossidato che parzialmente lo avvolge. Risalendo la collina e attraversando un uliveto, guidati dalla parete di ferro che asseconda il volume della sala, si entra nel foyer: uno spazio smaterializzato e invaso dalla luce, dal quale torna a essere visibile attraverso una parete vetrata il paesaggio esterno. La sala musica, che si abbraccia con un unico sguardo dall’alto, mostra la superficie unica del tamburo su cui appoggia la copertura, ali incurvate che abbracciano lateralmente le gradinate e celano i collegamenti dei vari livelli.

M.A.C.O.

Il Museo di Arte e Cultura Orientale di Arcidosso, è il frutto di oltre 35 anni di collaborazione tra il Comune di Arcidosso e l’Associazione Culturale Comunità Dzogchen di Merigar, un’associazione culturale senza scopo di lucro, diretta dal Prof. Namkhai Norbu, un professore in pensione di lingue tibetane e mongole presso l’Università orientale di Napoli.Molto importante per il successo dell’intero progetto, è stato il desiderio di utilizzare il museo per coltivare un dialogo tra le due comunità, vale a dire tra la comunità “tibetana” e la popolazione locale, per contribuire ad una maggiore comprensione interculturale e creare una armonia superando preconcetti.Per portare avanti questo obiettivo, si è ritenuto che fosse importante creare un’esperienza di “museo vivente” per i visitatori. Il tema centrale ed unificante di tutto il progetto è il mandala, questo tema è stato utilizzato sia sul piano concettuale museologico che sulla progettazione architettonica. Il mandala è una rappresentazione del cosmo, (microcosmo e macrocosmo) di fondamentale importanza nell’architettura sia buddista che indù.Si è deciso di creare una replica tridimensionale della cappella centrale del tempio Jokhang a Lhasa, dove risiede la statua Jowo Buddha, la più venerata e sacra.Abbiamo utilizzato l’interno di un Palazzo del 1700 per esplorare l’evoluzione dell’architettura monastica buddhista ed abbiamo creato un contenitore tridimensionale per un percorso di esperienze sensoriali e realtàaumenta

Sala Don Zeno

La sala polivalente”Don Zeno”è stata realizzata a Nomadelfia,una località a pochi chilometri da Grosseto,abitata da una comunità cattolica,organizzata in Gruppi Familiari,che vuole costruire una nuova civiltà fondata sul Vangelo ed è aperta all’accoglienza di figli in affido.Il padre fondatore di Nomadelfia è Don Zeno Saltini,un sacerdote di Carpi che,dopo varie vicissitudini,ha trasferito la comunità da Fossoli,dove era nata,a Batignano,nella Maremma Grossetana.La sala polivalente prende il nome del fondatore ed è destinata ad accogliere le attività collegate alla vita ed alle necessità degli abitanti.La sala,infatti,oltre che luogo di culto,dovrà ospitare convegni, riunioni,celebrazioni,eventi musicali e teatrali,come le famose”Serate di Nomadelfia”,spettacolo di balli e danze interpretato dai ragazzi e dalle ragazze di Nomadelfia e rappresentato ogni anno in varie località italiane per far conoscere il messaggio di Don Zeno.Per questo motivo e per l’importante funzione assegnata a questi spettacoli,il padre fondatore aveva sempre sognato di poter realizzare a Nomadelfia un teatro tenda,per dare una sede più stabile alle”serate”e poter ospitare all’interno della Comunità eventi e manifestazioni.Il linguaggio architettonico adottato nella progettazione si ricollega a questa tradizione di Nomadelfia,alle strutture circolari o semicircolari, quasi sempre temporanee e mobili,che hanno fino ad oggi ospitato le “Serate” e gli eventi più significativi della Comunità.

Il recupero delle Mura antiche, ha permesso di riqualificare il percorso, che da Via Massetana sale lungo una rampa (esterna alla cinta muraria), varca le mura tramite una fenditura, contenuta in un involucro in cor-ten, illuminato di notte e collega il centro storico attraverso Via Maremma. Uno scavo archeologico ha evidenziato tracce di abitazioni medioevali, che nessuna cartografia aveva mai individuato. Il cammino di riscoperta delle Mura, pavimento in pietra arenaria, include l’Opera a Verde ideata dall’artista Maria Dompè: un luogo senza tempo dove vivere un’esperienza sensoriale, accompagnati da un mix di sonorità musicali e dall’effluvio floreale misto ad aromi mediterranei. Il giardino, denominato SOL OMNIBUS LUCET e dedicato a Norma Parenti la giovane partigiana fucilata dalle truppe tedesche nel 1944, è costituito da una sorta di cerchio energetico spiroidale, con traiettorie centripete ondulate e alternate sia da dossi rifiniti in prato, modellati e contenuti in lastre di cor-ten incise con motti latini, sia da sentieri concavi, pavimentati in pietra a secco. Il disegno complessivo è incorniciato da un cerchio di pietra intervallato da fioriture a ciclo stagionale e alberi ombreggianti a favorire sedute meditative in cor-ten. Al centro dell’opera, l’artista ha creato un piccolo pozzo in pietra urbana riciclata, per contenere (interrandoli) sogni e desideri scritti da studenti massetani, con l’intento di ripetere periodicamente un rito catartico di condivisione.

… fra cielo e mare … ‘… sospesa tra cielo e mare …‘ è la definizione utilizzata dai Committenti per ritrarre la loro nuova casa al Monte Argentario, all’avvio di una bella avventura di progetto condotta con l’obiettivo di riverberare i sapori del paesaggio circostante all’interno dell’abitazione. Un progetto rispettoso dell’organismo edilizio esistente, ispirato ai lavori del grande maestro Giò Ponti, integra le belle pavimentazioni in cotto esistenti con un ampio utilizzo della ceramica dipinta a mano nel vietrese (memoria delle origini napoletane dei Committenti), a rivestire in maniera diffusa i bagni, la cucina e a disegnare un particolare tappeto ceramico a parete nel soggiorno. Un asola orizzontale mette in comunicazione diretta questo con la cucina, permettendo così a questo locale di godere del panorama che si apprezza dall’ampia finestra anche grazie all’installazione a parete di una sorta di grande specchio retrovisore. Le varianti formali e cromatiche che caratterizzano i rivestimenti ceramici ispirano i motivi geometrici che disegnano un po’ tutta la casa frazionando pareti e soffitti secondo triangoli, rombi, rettangoli, semicerchi, sorta di installazione artistica che trova proprio nel corridoio, il locale solitamente di semplice transito, il momento più alto. Arredi e complementi in legno di noce canaletto completano l’ambientazione, interprete di quei valori artigianali tutti italiani di cui la casa oggi va molto fiera.

L’idea del progetto della Cappella Memoriale nasce dalla volontà di racchiudere in un disegno l’essenza dei luoghi ai quali Pino si era così profondamente legato nei suoi ultimi anni. La campagna di Magliano con il suo semplice fascino doveva costantemente dialogare con il gesto progettuale e la sua luce entrare all’interno del sepolcro in tutte le fasi della giornata, illuminandolo dai primi chiarori dell’alba fino al tramonto. L’intervento è stato realizzato in un piccolo spazio al quale si accede al termine di una breve ascesa, durante della quale si intravedono i segni della campagna circostante. Voltandosi poi verso valle lo sguardo si ampia e possono scorgersi in lontananza colline e coltivi. La struttura di progetto poggia su una parte basamentale che stacca da terra il luogo del riposo e risulta rivestita in travertino bianco locale, lo stesso che fu scelto dai frati Benedettini per la realizzazione del vicino San Bruzio, del quale la cappella cerca di raccogliere lo spirito di mistica connessione tra architettura, cielo e natura. Il pavimento interno e l’altare sono stati realizzati in marmo di Carrara, la venature del quale scorrono sul pavimento invitando lo sguardo a dirigersi verso l’altare che contiene l’urna cineraria. Internamente si trova una pala d’altare connessa con la sommità del muro retrostante: la luce scende morbidamente su di essa entrando dalle grandi vetrate, creando un fondale dolcemente illuminato che ospita un’immagine del musicista.

Casa IV

Nel libro Architettura rurale italiana, Pagano e Daniel scrivono: «La conoscenza delle leggi di funzionalità e il rispetto artistico del nostro imponente e poco conosciuto patrimonio di architettura rurale sana e onesta, ci darà l’orgoglio di conoscere la vera tradizione autoctona dell’architettura italiana: chiara, logica, lineare, moralmente ed anche formalmente vicinissima al gusto contemporaneo». Partendo da queste considerazioni che il progetto si sviluppa cercando di instaurare un rapporto tra la tipologia della casa di campagna e l’icastica tradizione dei luoghi. La geometria rigorosa regola il disegno e l’orientamento dell’abitazione rispondendo a precise misure e rinnovando quel paziente processo di trasformazione basato sulla sovrapposizione e sull’adesione alle regole preesistenti. La casa è composta da due livelli, uno alla quota del basamento e l’altro alla quota della grande loggia cadenzata dal ritmo serrato dei profili metallici. Le stanze interne sono disposte in modo tale che gli ambienti principali abbiano tutti un affaccio privilegiato a sud. I prospetti, scanditi da poche regolari aperture, danno all’abitazione un aspetto di chiusura. La casa severa si apre improvvisamente al paesaggio e dalla loggia, vera e propria soglia tra interno e esterno, è possibile traguardare la Maremma per spingersi con lo sguardo fino all’Isola del Giglio, come ultimo punto focale dell’orizzonte, quando la terra e il mare, indistinguibili girano.

Premio Architettura Toscana

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