Il progetto prevede la ristrutturazione di un piccolo edificio in via della Stufa al numero civico 38 di Prato. La casa è singolare, perché singolare è la conformazione legata alla scala di ingresso che “taglia” longitudinalmente tutti i piani e consente la distribuzione e l’accesso alle varie quote. Tutti gli interventi hanno come scopo principale quello di confrontarsi con il tema dell’abitare declinato, in questo caso, nella necessità di rendere gli ambienti accoglienti e capaci di migliorare e facilitare la vita delle persone che li abiteranno senza però comprometterne l’architettura originaria. Lavorare sui prospetti diventa l’occasione per mettere in contatto la sfera privata con quella pubblica. I prospetti esterni infatti comunicano con l’esterno, con la città ma anche con l’interno, con il mondo domestico, casalingo. Il disegno dell’intonaco a sgraffito, che dialoga con quello delle persiane per forma e ritmo, è sempre teso nel far risaltare l’andamento verticale della facciata secondo un ritmo sincopato che mano a mano che sale, si apre sempre di più. Il risultato che si ottiene è quello di un fronte elegante e leggero dove i pochi elementi inseriti sono la conseguenza di una lettura sensibile del contesto, di un’interpretazione critica dell’esistente nella logica di valorizzare e potenziare la qualità architettonica dell’antico tessuto urbano della città.

Civico 22

Civico 22 è un frutto di un intervento integrale di trasformazione e rigenerazione di un edificio degli anni Settanta (ex Enel) in un complesso residenziale. La planimetria a L con il lato corto attestato su Via del Campofiore ha subito indirizzato la progettazione sulla dualità dei fronti, più urbani quelli rivolti su strada, più porosi quelli rivolti sull’interno, che il progetto risolve con un telaio metallico e un sistema di pannelli “brise soleil”. Attuando una sorta di smontaggio e rimontaggio degli elementi tipologici dello stato di fatto, il progetto ha restituito il volume attraverso la giustapposizione di tre elementi chiaramente riconoscibili: il basamento, il corpo principale e l’attico. La lettura stratificata di queste tre parti di programma è stata rafforzata con la scansione di fasce marcapiano in acciaio, annegate sul cappotto perimetrale. Il basamento ospita le attività direzionali e stabilisce relazioni urbane anche grazie alla flessuosità delle pensiline che si protendono verso la strada. Al di sopra si sviluppano il corpo principale con da una gamma cromatica che varia dal grigio cemento al perla, nell’ottica di esaltare le fasce finestrate e i generosi vuoti delle terrazze. Il piano attico rappresenta l’elemento di chiusura dal quale emergono le volumetrie dei duplex, ideati come “ville urbane” con le terrazze rivolte sul Piazzale Michelangelo. Infine, la realizzazione del giardino condominiale, ha consentito di ricucire gli spazi del piano terreno.

Casa Giulia

La residenza si trova all’interno del tessuto storico fiorentino, vicino alla Porta al Prato, all’ultimo piano di un edificio a schiera e fa parte di una lunga stecca costruita nel 1576 finanziata dall’ordine di Santo Stefano. La richiesta della committenza è quella di rendere l’immobile adatto alle esigenze di una giovane donna ampliando il più possibile la penetrazione della luce rispettando le caratteristiche storiche e tipologiche. Il progetto si è incentrato sull’uso dell’intero volume in cui è stato eliminato il cannicciato e realizzato, con un nuovo solaio in acciaio, un soppalco; quindi, è stata ampliata la finestra del soggiorno in porta finestra con ringhiera che permette una maggiore aerazione e illuminazione di tutta la zona giorno e affaccio sulla corte interna. Per assicurare aerazione ed illuminazione alla camera sono stati eliminati i palchi morti, sostituiti da un passaggio in ferro e vetro con una rete per catamarani nella parte centrale. Questa soluzione amplia la potenzialità d’uso degli ambienti che diventano fluidi e poliedrici. Sono stati inoltre utilizzati intonaci armati con fibra di vetro per consolidare le pareti portanti, le travi della copertura sono state riconsolidate e integrate con materiale già presente in loco, mentre per il pavimento è stato scelto un parquet in rovere leggermente nodato. Il progetto è stato curato dall’architetto Gaetana Maria Naso, la grafica dalla dott.ssa in Architettura Silvia Angius e la fotografia da Patrizia Gervasi.

Podere Cerreto

Il progetto converte Podere Cerreto, all’origine una torretta di avvistamento medievale, in un centro di innovazione e ricerca sull’energia e la sostenibilità, rivelando la memoria e le tracce dei suoi otto secoli di storia, e aggiungendovi un nuovo capitolo legato all’ambiente e al futuro, in intenso dialogo con quelli precedenti. La Via Francigena, che oggi lambisce la proprietà, attraversava originariamente il podere: questo elemento di memoria è stato rivelato tramite un tappeto lineare di pietre di recupero e un taglio sul muro di recinzione (due lame di corten e lastre in travertino) che punta verso il Castello di Monteriggioni e crea un nuovo accesso. Tutte le preesistenze sono state restaurate con il massimo rispetto, lavorando per analogia sull’esterno e per contrasto sugli interni, dove i materiali della tradizione sono valorizzati dalle aggiunte contemporanee. Il vano a tutta altezza attraversato dalla scala semiellittica, metafora dell’energia, fornisce luce dai lucernari verso gli ambienti circostanti, tramite delle perforazioni nelle murature cerchiate in ferro calamina, che si ripetono per tutto l’edificio connettendo gli ambienti di lavoro e riquadrando i paesaggi interni, cosi come le finestre riquadrano quelli esterni. I muri non portanti sono stati sostituiti da pareti in vetro, mentre a pavimento una resina materica colore della foglia dell’olivo attraversa tutti gli spazi, riquadra tappeti in cotto di recupero e crea elementi di arredo.

Villa MD

L’edificio oggetto di intervento, un villino in stile liberty degli anni trenta, presentava un elevato livello di degrado oltre alla presenza di alcune superfetazioni frutto del frazionamento in due distinte unità immobiliari avvenuta negli anni cinquanta. Il progetto propone di ridare dignità all’edificio tramite interventi puntuali di restauro conservativo e la rimozione della scala esterna. Con la realizzazione di una scala interna nella posizione originaria, viene ripristinato l’aspetto storico dell’immobile all’epoca della sua costruzione, mentre all’interno il fabbricato viene svuotato in modo tale da creare un unico open-space tra ingresso, salotto e cucina con il pavimento in resina che risulta inciso da inserti in legno a testimonianza e memoria delle porzioni murarie demolite. La scala, come già detto riportata nella posizione originaria, viene sospesa rispetto al mobile di partenza grazie a tiranti in ferro ancorati al solaio sovrastante, diventando da mobile d’arredo, collegamento funzionale con i piani sovrastanti.

La cantina

Il progetto riesuma un vecchio granaio dell’antica Fegghine, costruito con materiali ancestrali provenienti dalle rive dell’Arno e dalle vecchie fornaci. Svariate sono le volte presenti nel susseguirsi di stante, così come le altezze delle pareti che le sorreggono. L’intervento svolge un ruolo determinante nella valorizzazione degli antichi spazi. La nuova pavimentazione non vuole avvicinarsi all’esistente, in segno di rispetto. Tutto è staccato per permettere all’illuminazione di svolgere un ruolo fondamentale nella resa percettiva della storicità materica.
Il moderno innesto che insegue la totalità delle stanze non vuole nascondersi, bensì mostrarsi, attraverso la sua lucentezza. La prima stanza è il risultato di un susseguirsi di necessità funzionali che hanno portato ad una totale asimmetria, delle superfici, delle pareti, dei soffitti, persino dell’accesso. In questo contatto ottico tra nuovo e antico, erompono quattro pietre porta botti, riesumate dagli stessi pavimenti preservati, dimostrazione delle innumerevoli funzioni succedute. Con la stessa delicatezza con la quale viene trattata la superficie muraria dell’intero spazio, l’espositore avvicina alle pareti illuminate le 964 bottiglie di vino, che seguono con una forma sinuosa e regolare gli archi creati dalla copertura. Centinaia di specchi riflettono la bellezza del pavimento originario, vagheggiando l’antico pozzo presente nella stanza adiacente. La bellezza è ciò che ha a che fare con la forma.

Un piccolo anonimo annesso rurale appoggiato sull’orlo di una paradisiaca terrazza naturale posizionata in faccia al migliore skyline di Volterra e dominante sulla val di Cecina. L’intenzione progettuale è stata quella di mettere in scena un vero e proprio manifesto programmatico con l’intento di poter affidare all’architettura autenticamente contemporanea e convintamente anti vernacolare, la mediazione tra contesto rurale e valore paesaggistico. Per fare ciò ci siamo dovuti concentrare sul rapporto tra forma e funzione facendo emergere le molte contraddizioni che una selvaggia agrituristizzazione della Toscana ha posto negli ultimi decenni, malintesi di carattere etico, culturale e tecnico. Perché continuare ad usare una forma insediativa pensata per lo più per assecondare i metodi del lavoro mezzadrile oggi scomparsi da decenni? Altro punto centrale del progetto il tentativo di superare il pretestuoso antagonismo tra bellezza e verità cercando di limitare i formalismi, affidandosi alla spigolosa tridimensionalità della geometria classica la più adatta alla luce del Tirreno che qui arriva a folate di scirocco. A scontrarsi con le linee tese e silenziose dei volumi, la pietra, pervasiva di ogni dimensione del progetto ed allestita con tecniche, pezzatura e significati diversi. La pietra con cui tutto si è compiuto in questo territorio, e che l’arato ha fatto emergere dalla terra come archeologia e che noi abbiamo lasciato nel giardino come monumento all’agricoltura che fu.

I lavori di restauro conservativo hanno interessato la facciata sul Corso e la copertura dell’aula retrostante. Per la facciata si trattava di intervenire sull’avanzato degrado del paramento murario, in buona parte a vista (pietra e laterizio) e con ricorsi orizzontali ad intonaco, da tempo soggetto a fenomeni di disgregazione e progressivo distacco di frammenti. Sono state utilizzate malte di calce naturale per la stilatura dei giunti che avessero le stesse caratteristiche materiche e cromatiche delle preesistenti, con inerti di granulometria adeguata, attraverso l’esecuzione di apposite campionature. Gli interventi sulla facciata sono stati completati con un restauro del portale che potremmo definire morfologico. Questo, nella fase di ricostruzione post-bellica, era rimasto incompleto, con l’intento successivo di ricollocare l’apparato decorativo lapideo, danneggiato dagli eventi bellici. Tale lettura ha portato ad una soluzione che da una lato accrescesse il decoro complessivo della facciata, banalizzato dall’utilizzo di materiali di scarsa qualità e da tessiture murarie scadenti e dall’altra permettesse di ridare leggibilità alla stessa morfologia del portale, rispettando il manufatto originale. L’intervento si è pertanto limitato ad un ripristino dell’intonaco sulle lesene che delimitano il portale, consentendo di migliorare la leggibilità, ridefinendo sul piano materico l’originale stacco fra il portale stesso e la superficie muraria a vista della facciata.

Il Piano Nobile di Palazzo Capponi alle Rovinate ospita la sede della Stanford University da circa dieci anni. Il progetto di ampliamento, concepito durante il primo lockdown, recepisce il tema della flessibilità richiesto inizialmente dalla Committenza allargandolo al tema delle distanze fisiche necessarie per garantire il corretto svolgimento in sede della didattica. Ecco quindi che gli ambienti, caratterizzati da altezze importanti e soffitti affrescati, diventano il contenitore da rispettare e in cui inserire arredi e dotazioni impiantistiche necessarie. Gli arredi sono concepiti come moduli da assemblare e collocare a seconda delle esigenze didattiche, con la massima flessibilità. Arredi leggeri che richiamano il tema dei banchi di scuola e le cui forme spezzate ne evidenziano la modularità e le varie configurazioni. A partire dagli affreschi presenti, restaurati nell’ambito dell’intervento, sono stati individuati i temi cromatici che hanno dettato la scelta progettuale. La teoria dei 3 colori ha permesso di condurre la continuità tra i vari ambienti, garantita anche dalla presenza di un tappeto continuo in appoggio sagomato sul perimetro, funzionale alla preservazione dei pavimenti storici decorati presenti nel Palazzo. Il “fil rouge” formale è dato dal tema ricorrente della linea spezzata che consente di leggere con facilità gli arredi come elementi da accoppiare e posizionare in funzione delle esigenze didattiche.

Fondazione MAiC

  • 2 anni ago
  • written by admin

Il progetto è nato per rispondere alla richiesta di un centro di riabilitazione per l’handicap fisico e mentale, per l’autismo e per un supporto fisioterapico aperto alla città. Nuovi corpi di fabbrica, articolati e divisi per funzioni diverse, sono collegati al vecchio edificio, ampliato e ristrutturato, da un percorso coperto che si apre su un parco a verde attrezzato: “metronomo” che scandisce il tempo della permanenza. Il nuovo edificio, a pianta ellittica, con il corpo in mattoni ed un percorso a due livelli coperto da una struttura in metallo e vetro, ricorda il gesto del seminatore quando il braccio allarga il movimento e spande il seme per raccontare al mondo il frutto che nascerà; ed anche nel suo ingresso a forma tronco-conica, i simboli si susseguono e i materiali si sommano per raccontare, senza nasconderli, coloro che vivono dentro e devono sentirsi proiettati in quel mondo che spesso viene loro negato. All’interno, aule/laboratorio per lo sviluppo di capacità operativo-sensoriali, un auditorium, una nuova aula liturgica per rispondere anche alle esigenze del quartiere e della città. Nuovo e antico convivono, anche nel vecchio edificio ristrutturato, memoria e permanenza della storia, che, con la sua quinta in mattoni (materiale unificante di tutto l’intervento), curvata e possente, offre con i suoi vuoti, da dentro e da fuori, scorci, quadri e nuove prospettive. Un’avventura non facile, vissuta con il mio collega e collaboratore arch. Riccardo Lombardi.

Il loft, realizzato negli anni 50, in cemento armato a vista, è stato ricavato dalla saturazione di una corte interna. La committenza cultrice dell’arte contemporanea figurativa e del gusto vintage, cercava uno spazio paleoindustriale da poter personalizzare con pezzi unici: una sorta di Wunderkammer. Il brutalismo originale dialoga con un alto comfort abitativo (materiali e apparecchiature di elevatissimo standard) e con una scenografia neutra non in competizione con l’arredo e le opere d’arte. Infissi realizzati da PortaaPorta di Firenze. Una forte collaborazione tra committenza e progettista, ha ispirato sia i dettagli architettonici principali (archi in mattoni a vista, nuovo ascensore in mattoni faccia a vista con porte in cristallo, lucernari sulla sala da pranzo) sia quelli che fanno da quinta teatrale. Serena Dolfi ha inserito precisamente ogni elemento d’arredo non lasciando al caso né l’abbinamento, né il colore, né la luce. Troneggia quasi all’ingresso la cucina Abimis di Treviso, in acciaio lucido. Si accostano poi mobili in legno grezzo, tavolo ovale, lampadario vintage in ottone, porte recuperate, sculture, mobili in laminato, cristalli, pezzi iconici moderni e di modernariato. La “messa in scena” è un non-luogo, con riferimenti iconografici commerciali ripetuti e ripetibili con icone del design, sedimentate nell’immaginario collettivo, mescolato ai ricordi personali, per creare un senso di familiarità. Hanno partecipato al progetto Irene Blasich e Valeria Ioele.

Il progetto riguarda interventi di completamento, utili alla pubblica fruizione e alla valorizzazione del Camminamento e della Torre del Soccorso opera di Brunelleschi in Vicopisano. L’intervento riguarda il restauro del camminamento oltre che la realizzazione delle strutture di collegamento verticali di risalita nella Torre. Le scelte progettuali, con l’obbiettivo di consentire la fruibilità del camminamento in sicurezza, hanno previsto la ricostruzione della gradonata nel rispetto dei dislivelli originari, ben individuati sulla base delle pendenze e delle tracce ancora presenti. Il collegamento verticale, identificato dalle sedi di alloggiamento delle strutture originarie (solai, ballatoi, pianerottoli), si è pensato staccato dai paramenti, reversibile e limitato a consentire l’accesso alle aperture presenti. Le rampe ed i ballatoi realizzati all’interno della torre consentono al visitatore di traguardare i sistemi difensivi e le aree da cui un tempo arrivavano i nemici, consentendo un percorso di visita complesso e articolato sia attraverso la lettura degli spazi interni alla torre sia sul paesaggio. La scala non è quindi un mero elemento strutturale, ma consente al visitatore di calarsi nella lettura della macchina militare attraverso l’accesso diretto alle archibugiere, alle fuciliere e alle cannoniere, alle viste sulle altre torri, alle altre strutture difensive e all’uso che ne veniva fatto originariamente. I materiali impiegati sono acciaio, legno e laterizi di recupero.

Premio Architettura Toscana

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