Casa sul golfo

In un contesto paesaggistico unico, tra il Golfo e il Parco Archeologico di Baratti e Populonia sorge la casa che è stata oggetto di un intervento integrale di ristrutturazione. L’originaria costruzione realizzata intorno agli anni Sessanta è stata per decenni abbandonata. L’intervento ha interessato anche le aree pertinenziali della costruzione tra cui l’antistante giardino e coinvolto la casa, sia nelle parti strutturali, impiantistiche e di riqualificazione energetica, sia nella nuova distribuzione interna e nelle finiture. Attraverso pochi elementi ben caratterizzati, il progetto ha stabilito nuove relazioni con il contesto eccezionale che accoglie la casa, rendendola parte integrante, capace di dialogare con le emergenze del luogo. Sul fronte rivolto verso il Parco Archeologico, il volume puro della casa, intonacato e ad unica falda inclinata, è stato impreziosito attraverso l’integrazione di un volume, rivestito con lastre di pietra Santafiora, che si smaterializza verso il fronte mare e diviene un portico leggero che rende la casa vivibile durante le stagioni calde. Sul fronte rivolto verso il Golfo di Baratti, lo sforzo progettuale si è concentrato sull’ampliamento delle superfici aperte nel tentativo di stabilire un rapporto diretto col paesaggio, per questo è stato messo a punto serramento continuo e dinamico che stabilisce una relazione simbiotica tra l’interno della casa e il mare, che è divenuto presenza intima e vitale in ogni ambiente della casa.

Il complesso nasce come conceria dall’aggregato di edifici di diversa natura: costruzioni specialistiche ed edilizia di base. È presente nella pianta del Buonsignori (1594). Cessata l’attività, fu acquistato dal Comune di Firenze nel 1910 per farne una stazione della nettezza urbana e subendo, a partire da quel momento, pesanti interventi di adattamento. Dismesso negli anni ’70, fu sottoutilizzato e progressivamente abbandonato, versando in stato di totale fatiscenza. Nel 2005 è stato notificato dal MIBACT. Nel 2016 è stato acquistato dalla società Santacroce srl. Obiettivo del progetto è stata la trasformazione in un complesso residenziale di undici alloggi. L’azione progettuale, le cui linee guida si sono basate su approfondite indagini storiche ed analisi tipologiche, è così sintetizzabile: – recupero dell’assetto tipologico-strutturale: due primi piani “solidi”, contraddistinti da setti continui ed aperture di dimensioni limitate, e due piani sovrastanti “leggeri”, caratterizzati da pilastri in muratura, travi in legno e grandi finestroni; – riapertura di cortili intasati da superfetazioni, anche storicizzate; – ripristino dello spartito delle facciate di inizio ‘900, ricostruito dall’analisi dei documenti storici e dalla lettura dei manufatti; – eliminazione di strutture incongrue: solai, scale, divisori; – introduzione dei nuovi elementi mantenendo la leggibilità delle strutture originarie; – miglioramento del comportamento antisismico ed efficientamento energetico.

Villa S

Nella prima periferia pistoiese, un antico casolare di tardo ‘800 domina la vallata con vista sulla citta’ e i suoi monumenti. Il restauro si è focalizzato sul recupero e sulla valorizzazione delle peculiarità dell’immobile, mentre un attento ammodernamento gli ha conferito una maggiore efficienza dal punto di vista energetico e funzionale. La copertura è stata isolata per ridurre le dispersioni termiche ed è stato installato un sistema a pompa di calore con riscaldamento a pavimento. Queste modifiche non solo migliorano il comfort degli ambienti, ma riducono anche l’impatto ambientale dell’edificio sul territorio. Pur avendo subito un pesante restyling, si è cercato di mantenere l’essenza e l’aspetto originale dell’edificio, adeguandolo a soluzioni più sostenibili per renderlo funzionale e confortevole agli abitanti moderni. Questa combinazione tra il vecchio e il nuovo permette di preservare la storia dell’edificio, garantendo al contempo un futuro sostenibile.

Factory

L’intervento previsto per la Manifattura Tabacchi di Firenze si propone di trasformare un’ex area dismessa di oltre 100.000 mq in un innovativo polo di aggregazione, connesso e sostenibile, dove formazione, cultura, turismo e artigianato possano diventare nuove opportunità per la città. La FACTORY, inaugurata ad Aprile 2023, è costituita dai tre edifici 4-5-11 che insieme costituiscono un unico organismo concepito come un enorme laboratorio in grado di coniugare il processo creativo all’arte del fare, stimolando la nuova generazione di artisti, artigiani e apprendisti a fondere la tradizione antica di secoli con le tecnologie emergenti. Al centro del complesso vi è piazza Francesca Morvillo dove un mix-funzionale, attentamente orchestrato, anima lo spazio delimitato dalle quinte degli edifici storici con negozi e botteghe artigiane. La copertura dell’edificio centrale più basso ospita l’Officina Botanica, un grande giardino pensile collegato tramite ponti pedonali agli atelier ed agli uffici ospitati negli edifici B4 e B5. Un elemento chiave di questo polo dinamico è lo spazio eventi all’interno del B11, i cui ambienti rimarranno liberi e flessibili per ospitare mostre d’arte, sfilate di moda, concerti, fiere. Il progetto si è posto l’obbiettivo di enfatizzare l’aspetto post industriale dello spazio, per trasmettere ai visitatori il fascino di un luogo che oggi può essere considerato di archeologia industriale e che per funzione è sempre stato nascosto alla cittadinanza.

Il restauro in oggetto, punta a completare un percorso progettuale iniziato nel 2008, mirato ad allargare l’offerta per la piena fruizione a cittadini e studenti del “Giardino Scotto”, o anche detta Fortezza Nuova e di cui il Bastione Sangallo ne è parte. Con la riqualificazione della copertura del Bastione Sangallo si è inteso lasciare traccia di quel periodo storico che alla fine del ‘700, quando la fortezza non dovendo più assolvere alla sua originaria funzione difensiva, fu venduta alla famiglia Chiesa e poi agli Scotto che costruirono sulle mura un corridoio coperto per le passeggiate romantiche trasformando il complesso in giardino delle delizie. In quest’ ottica il restauro definitivo della copertura, iniziato anni fa con il consolidamento delle volte soprastanti i locali interni al bastione, è intenzionato a riportare sulla sommità della fortezza le essenze arboree originali che a cavallo tra il ‘700 e ‘800 conferirono alla fortificazione l’appellativo di “Torrione dei Lecci”. Con il restauro conservativo delle pareti perimetrali del mastio si è voluto inibire lo sviluppo dei processi di degrado riscontrati. Le scelte di restauro adottate hanno perseguono i principi condivisi dalla moderna cultura del restauro: minimo intervento, scarsa invasività dei lavori, conservazione della materia e della “facies” storicizzata del manufatto, la “distinguibilità” delle addizioni. L’intervento si è concluso a settembre 2023.

Il progetto prevede la ristrutturazione di un piccolo edificio in via della Stufa al numero civico 38 di Prato. La casa è singolare, perché singolare è la conformazione legata alla scala di ingresso che “taglia” longitudinalmente tutti i piani e consente la distribuzione e l’accesso alle varie quote. Tutti gli interventi hanno come scopo principale quello di confrontarsi con il tema dell’abitare declinato, in questo caso, nella necessità di rendere gli ambienti accoglienti e capaci di migliorare e facilitare la vita delle persone che li abiteranno senza però comprometterne l’architettura originaria. Lavorare sui prospetti diventa l’occasione per mettere in contatto la sfera privata con quella pubblica. I prospetti esterni infatti comunicano con l’esterno, con la città ma anche con l’interno, con il mondo domestico, casalingo. Il disegno dell’intonaco a sgraffito, che dialoga con quello delle persiane per forma e ritmo, è sempre teso nel far risaltare l’andamento verticale della facciata secondo un ritmo sincopato che mano a mano che sale, si apre sempre di più. Il risultato che si ottiene è quello di un fronte elegante e leggero dove i pochi elementi inseriti sono la conseguenza di una lettura sensibile del contesto, di un’interpretazione critica dell’esistente nella logica di valorizzare e potenziare la qualità architettonica dell’antico tessuto urbano della città.

Civico 22

Civico 22 è un frutto di un intervento integrale di trasformazione e rigenerazione di un edificio degli anni Settanta (ex Enel) in un complesso residenziale. La planimetria a L con il lato corto attestato su Via del Campofiore ha subito indirizzato la progettazione sulla dualità dei fronti, più urbani quelli rivolti su strada, più porosi quelli rivolti sull’interno, che il progetto risolve con un telaio metallico e un sistema di pannelli “brise soleil”. Attuando una sorta di smontaggio e rimontaggio degli elementi tipologici dello stato di fatto, il progetto ha restituito il volume attraverso la giustapposizione di tre elementi chiaramente riconoscibili: il basamento, il corpo principale e l’attico. La lettura stratificata di queste tre parti di programma è stata rafforzata con la scansione di fasce marcapiano in acciaio, annegate sul cappotto perimetrale. Il basamento ospita le attività direzionali e stabilisce relazioni urbane anche grazie alla flessuosità delle pensiline che si protendono verso la strada. Al di sopra si sviluppano il corpo principale con da una gamma cromatica che varia dal grigio cemento al perla, nell’ottica di esaltare le fasce finestrate e i generosi vuoti delle terrazze. Il piano attico rappresenta l’elemento di chiusura dal quale emergono le volumetrie dei duplex, ideati come “ville urbane” con le terrazze rivolte sul Piazzale Michelangelo. Infine, la realizzazione del giardino condominiale, ha consentito di ricucire gli spazi del piano terreno.

Casa Giulia

La residenza si trova all’interno del tessuto storico fiorentino, vicino alla Porta al Prato, all’ultimo piano di un edificio a schiera e fa parte di una lunga stecca costruita nel 1576 finanziata dall’ordine di Santo Stefano. La richiesta della committenza è quella di rendere l’immobile adatto alle esigenze di una giovane donna ampliando il più possibile la penetrazione della luce rispettando le caratteristiche storiche e tipologiche. Il progetto si è incentrato sull’uso dell’intero volume in cui è stato eliminato il cannicciato e realizzato, con un nuovo solaio in acciaio, un soppalco; quindi, è stata ampliata la finestra del soggiorno in porta finestra con ringhiera che permette una maggiore aerazione e illuminazione di tutta la zona giorno e affaccio sulla corte interna. Per assicurare aerazione ed illuminazione alla camera sono stati eliminati i palchi morti, sostituiti da un passaggio in ferro e vetro con una rete per catamarani nella parte centrale. Questa soluzione amplia la potenzialità d’uso degli ambienti che diventano fluidi e poliedrici. Sono stati inoltre utilizzati intonaci armati con fibra di vetro per consolidare le pareti portanti, le travi della copertura sono state riconsolidate e integrate con materiale già presente in loco, mentre per il pavimento è stato scelto un parquet in rovere leggermente nodato. Il progetto è stato curato dall’architetto Gaetana Maria Naso, la grafica dalla dott.ssa in Architettura Silvia Angius e la fotografia da Patrizia Gervasi.

Podere Cerreto

Il progetto converte Podere Cerreto, all’origine una torretta di avvistamento medievale, in un centro di innovazione e ricerca sull’energia e la sostenibilità, rivelando la memoria e le tracce dei suoi otto secoli di storia, e aggiungendovi un nuovo capitolo legato all’ambiente e al futuro, in intenso dialogo con quelli precedenti. La Via Francigena, che oggi lambisce la proprietà, attraversava originariamente il podere: questo elemento di memoria è stato rivelato tramite un tappeto lineare di pietre di recupero e un taglio sul muro di recinzione (due lame di corten e lastre in travertino) che punta verso il Castello di Monteriggioni e crea un nuovo accesso. Tutte le preesistenze sono state restaurate con il massimo rispetto, lavorando per analogia sull’esterno e per contrasto sugli interni, dove i materiali della tradizione sono valorizzati dalle aggiunte contemporanee. Il vano a tutta altezza attraversato dalla scala semiellittica, metafora dell’energia, fornisce luce dai lucernari verso gli ambienti circostanti, tramite delle perforazioni nelle murature cerchiate in ferro calamina, che si ripetono per tutto l’edificio connettendo gli ambienti di lavoro e riquadrando i paesaggi interni, cosi come le finestre riquadrano quelli esterni. I muri non portanti sono stati sostituiti da pareti in vetro, mentre a pavimento una resina materica colore della foglia dell’olivo attraversa tutti gli spazi, riquadra tappeti in cotto di recupero e crea elementi di arredo.

Villa MD

L’edificio oggetto di intervento, un villino in stile liberty degli anni trenta, presentava un elevato livello di degrado oltre alla presenza di alcune superfetazioni frutto del frazionamento in due distinte unità immobiliari avvenuta negli anni cinquanta. Il progetto propone di ridare dignità all’edificio tramite interventi puntuali di restauro conservativo e la rimozione della scala esterna. Con la realizzazione di una scala interna nella posizione originaria, viene ripristinato l’aspetto storico dell’immobile all’epoca della sua costruzione, mentre all’interno il fabbricato viene svuotato in modo tale da creare un unico open-space tra ingresso, salotto e cucina con il pavimento in resina che risulta inciso da inserti in legno a testimonianza e memoria delle porzioni murarie demolite. La scala, come già detto riportata nella posizione originaria, viene sospesa rispetto al mobile di partenza grazie a tiranti in ferro ancorati al solaio sovrastante, diventando da mobile d’arredo, collegamento funzionale con i piani sovrastanti.

La cantina

Il progetto riesuma un vecchio granaio dell’antica Fegghine, costruito con materiali ancestrali provenienti dalle rive dell’Arno e dalle vecchie fornaci. Svariate sono le volte presenti nel susseguirsi di stante, così come le altezze delle pareti che le sorreggono. L’intervento svolge un ruolo determinante nella valorizzazione degli antichi spazi. La nuova pavimentazione non vuole avvicinarsi all’esistente, in segno di rispetto. Tutto è staccato per permettere all’illuminazione di svolgere un ruolo fondamentale nella resa percettiva della storicità materica.
Il moderno innesto che insegue la totalità delle stanze non vuole nascondersi, bensì mostrarsi, attraverso la sua lucentezza. La prima stanza è il risultato di un susseguirsi di necessità funzionali che hanno portato ad una totale asimmetria, delle superfici, delle pareti, dei soffitti, persino dell’accesso. In questo contatto ottico tra nuovo e antico, erompono quattro pietre porta botti, riesumate dagli stessi pavimenti preservati, dimostrazione delle innumerevoli funzioni succedute. Con la stessa delicatezza con la quale viene trattata la superficie muraria dell’intero spazio, l’espositore avvicina alle pareti illuminate le 964 bottiglie di vino, che seguono con una forma sinuosa e regolare gli archi creati dalla copertura. Centinaia di specchi riflettono la bellezza del pavimento originario, vagheggiando l’antico pozzo presente nella stanza adiacente. La bellezza è ciò che ha a che fare con la forma.

Un piccolo anonimo annesso rurale appoggiato sull’orlo di una paradisiaca terrazza naturale posizionata in faccia al migliore skyline di Volterra e dominante sulla val di Cecina. L’intenzione progettuale è stata quella di mettere in scena un vero e proprio manifesto programmatico con l’intento di poter affidare all’architettura autenticamente contemporanea e convintamente anti vernacolare, la mediazione tra contesto rurale e valore paesaggistico. Per fare ciò ci siamo dovuti concentrare sul rapporto tra forma e funzione facendo emergere le molte contraddizioni che una selvaggia agrituristizzazione della Toscana ha posto negli ultimi decenni, malintesi di carattere etico, culturale e tecnico. Perché continuare ad usare una forma insediativa pensata per lo più per assecondare i metodi del lavoro mezzadrile oggi scomparsi da decenni? Altro punto centrale del progetto il tentativo di superare il pretestuoso antagonismo tra bellezza e verità cercando di limitare i formalismi, affidandosi alla spigolosa tridimensionalità della geometria classica la più adatta alla luce del Tirreno che qui arriva a folate di scirocco. A scontrarsi con le linee tese e silenziose dei volumi, la pietra, pervasiva di ogni dimensione del progetto ed allestita con tecniche, pezzatura e significati diversi. La pietra con cui tutto si è compiuto in questo territorio, e che l’arato ha fatto emergere dalla terra come archeologia e che noi abbiamo lasciato nel giardino come monumento all’agricoltura che fu.

Premio Architettura Toscana

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