L’edificio è stato progettato per rispondere a obiettivi pedagogici, funzionali, estetici, di sostenibilità ambientale, gestione e manutenzione del fabbricato. Lo spazio scolastico è un laboratorio educativo e i processi di apprendimento non possono prescindere dall’ambiente fisico in cui i soggetti coinvolti si muovono e agiscono. Per questo motivo sono state messe in atto strategie, progettuali e costruttive, per la realizzazione di una scuola aperta e dinamica, dove lo spazio dialoga con l’esterno, dilatandosi e diventando ‘ospitale’ quali la parete come spazio di continuità e relazione non di separazione, le luci, i colori, le forme, il materiale naturale del legno accostato al bianco degli infissi e del rivestimento, le zone d’ombra create dalla conformazione della struttura. L’edificio è costituito da due blocchi distinti, compresi tra due ‘quinte’ sceniche: una zona comprendente la hall d’ingresso e la distribuzione e una zona con le aule, ognuna con una propria copertura a due falde. La scuola, colorata e luminosa, manifesta all’esterno la suddivisione degli spazi interni. Le aule, rivolte a Nord-Est, presentano ampie aperture pentagonali vetrate. Le aperture sono arretrate rispetto al filo dell’edificio, con il quale si raccordano tramite strombature rivestite in listelli di legno. La parete attrezzata del piano terra, in legno massello, all’interno di una partizione di nicchie e sedute, contiene porte che collegano la mensa e l’aula polivalente al giardino.
Il progetto per le nuove residenze prende in considerazione il suo territorio di appartenenza e ne studia i caratteri principali al fine di restituire alla città un’architettura urbana radicata nel contesto. L’analisi tipologica della città ha evidenziato l’orditura rigorosa nelle facciate storiche esistenti: l’alternanza di spessori e matericità in prospetto disegna un filtro tra la vita pubblica e quella privata interna all’edificio. L’analisi dell’architettura storica aretina si presta alla suggestione formale del tessuto, il cui metodo di produzione, composto da trama, ordito e filato, genera sovrapposizioni alternate di elementi in grado di originare un unico tessuto. Il disegno dell’involucro di progetto compone un‘orditura regolare di segni verticali e orizzontali. Il progetto per le nuove residenze nasce da un volume costruito sui limiti dell’area, articolato in modo scalare. I terrazzi mettono in relazione lo spazio pubblico esterno e la casa, creando un filtro tra essi. La composizione degli aggetti avviene tramite la traslazione orizzontale dei terrazzi, in modo da creare spazi esterni per ciascun appartamento e variare le soluzioni abitative. Alla composizione si aggiunge la definizione cromatico-materica generale: l’intonaco rigato color pietra e il rivestimento ligneo ad elementi verticali, cercano un dialogo dell’edificio con l’intorno, conferendo allo stesso tempo un’immagine identitaria e riconoscibile.
Il progetto per casa camilla si sviluppa a partire dalla pianificazione funzionale precisa sullo spazio della casa e dalla sovrapposizione formale delle volumetrie abitative. Le tre funzioni richieste generano un trittico volumetrico, corrispondente ai due piani abitativi e al blocco garage, e sono collocati in maniera sovrapposta tra loro. Nel punto di intersezione, il vuoto che si genera funge da perno e filtro tra i due spazi e il giardino retrostante. In alzato una pensilina abbraccia e raggruppa i volumi, separando il giorno, al piano terra, e la notte al piano superiore.
La casa di Sansepolcro è stata ideata come uno scrigno lapideo inciso e segnato dalle aperture che si configurano come inserti materici differenziati per forma e dimensione in base alla sequenza e alle esigenze degli spazi interni. La scelta dei materiali è finalizzata ad innescare un rapporto dialettico con il contesto, con il vicino nucleo Medioevale di Sansepolcro, ma senza rinunciare ad operazioni progettuali nette e radicali sulla volumetria. La dialettica tra pieni e vuoti è accentuata dal contrasto materico tra la superficie dura della pietra locale e i serramenti in legno. Grazie al sistema di pannelli scuranti integrati al serramento e annegati nella muratura, le aperture si configurano come intarsi lignei, preziosi inserti materici che producono vibrazioni e giochi di luce sempre differenti, capaci di configurare scenari di illuminazione diversificati per ciascun ambiente. All’interno la presenza forte della scala lineare si riverbera sul volume in pietra attraverso una fenditura lignea e definisce un sistema distributivo che su cui si baricentrano tutti gli ambienti della zona giorno al piano terra e della zona notte al piano primo. La progettazione dell’arredo su misura ha consentito di ottimizzare gli spazi e di definire i vari ambienti mediante soluzioni integrate e a forte carica plastica, soprattutto al piano terra, dove le pareti attrezzate definiscono elementi flessibili in continuità spaziale e materica con l’esterno.
La casa di Sansepolcro è stata ideata come uno scrigno lapideo inciso e segnato dalle aperture che si configurano come inserti materici differenziati per forma e dimensione in base alla sequenza e alle esigenze degli spazi interni. La scelta dei materiali è finalizzata ad innescare un rapporto dialettico con il contesto, con il vicino nucleo Medioevale di Sansepolcro, ma senza rinunciare ad operazioni progettuali nette e radicali sulla volumetria. La dialettica tra pieni e vuoti è accentuata dal contrasto materico tra la superficie dura della pietra locale e i serramenti in legno. Grazie al sistema di pannelli scuranti integrati al serramento, le aperture si configurano come intarsi lignei, preziosi inserti materici che producono vibrazioni e giochi di luce sempre differenti, capaci di configurare scenari di illuminazione diversificati per ciascun ambiente. La presenza forte della scala lineare interna si riverbera sul volume in pietra attraverso una fenditura lignea. All’interno la progettazione dell’arredo su misura ha consentito di ottimizzare gli spazi e di definire i vari ambienti mediante soluzioni integrate e a forte carica plastica.
Allestire la mostra “Afro. Dalla meditazione su Piero della Francesca all’informale” (curata da Marco Pierini con il coordinamento scientifico e progetto allestitivo di Alessandro Sarteanesi) negli spazi della Galleria Comunale attigua alla Basilica di San Francesco, è stata anche l’occasione per riordinarne gli spazi espositivi al fine di riscoprirne il forte rapporto con la città, oltre a adeguarne la funzionalità. Dopo l’originaria trasformazione di Andrea Branzi, che intervenne a più ampia scala con un progetto di recupero dell’intero isolato, alcuni dei caratteri salienti della strategia espositiva iniziale sono stati persi e fortemente modificati. Il progetto ha cercato di valorizzare quanto rimaneva, concentrandosi nel ridefinire le pareti espositive e riscoprire il senso dello spazio interno, anche in rapporto con quello esterno di piazza San Francesco, attraverso la riapertura di gran parte delle finestre che su di essa si affacciano. Al piano terra il progetto prevede un nuovo bookshop con biglietteria, che sarà mediato con l’esterno attraverso il vestibolo d’ingresso che potrà ospitare opere d’arte. Ai piani superiori, alcune mosse tese a far riemergere la serialità degli spazi del manufatto e l’installazione di grandi prismi stereometrici nelle sale centrali ai piani, non orientati rispetto alle pareti, che permetteranno di filtrare gli spazi di servizio esistenti oltre che a supportare apparati testuali e visivi delle esposizioni.
I tre lotti numerati come A20, A21 e A22 fanno parte della lottizzazione chiamata Città Giardino, in particolare per la parte di residenze bifamiliari e trifamiliari. Si tratta di un intervento di ampliamento della zona residenziale di Terranuova Bracciolini, Arezzo. Il progetto si pone come obbiettivo l’integrazione con il paesaggio, il linguaggio architettonico composto da forme semplici, richiamano la forma “a capanna” e cerca di semplificare al massimo l’intervento, arrivando a realizzare tre volumi disposti seguendo l’andamento della collina e orientati verso il panorama. Le sue forme minimaliste si fondono armoniosamente con l’ambiente grazie all’uso di materiali e colori locali, la scala cromatica prende come riferimento i calanchi delle Balze che si trovano dietro la collina oggetto di intervento. Le ampie finestre in vetro permettono alla luce naturale di penetrare negli spazi interni, creando un legame diretto con il paesaggio esterno. I colori utilizzati richiamano le tonalità della terra, conferendo al progetto un senso di appartenenza al luogo. In questo modo, l’architettura si integra perfettamente con il contesto territoriale, creando un’esperienza unica e coinvolgente per chiunque la incontri.
Ogni progetto è caratterizzato da una molteplicità di progetti. Questo è il principio con il quale Villa Parapei è stata ideata internamente. La distribuzione del progetto architettonico è finalizzata alla scoperta di innumerevoli e consecutive vedute sulle colline del Valdarno aretino, rese possibili grazie alle grandi pareti vetrate. Considerando il contesto come un comune denominatore, il progetto d’interni cerca di attribuire ad ogni stanza, e quindi ad ogni vista, un carattere proprio con una ricerca emotiva profondamente affondata nell’esperienza quotidiana degli ambienti. Instaurare una connessione con la natura, cercando, possibilmente, di essere abbracciati da essa, dal movimento degli alberi e dal suo colore tipico, il verde, presente fortemente nella camera da letto. Il riflesso creato dalla luce, muove i toni passando fino al blu della cabina armadio per poi colpire il marmo verde alpi del bagno. Scendendo al piano terra la luce irrompe nell’area living incontrando le sfere galleggianti del lampadario, cristalli, metalli e legni che rendono ogni stanza una connessione diversa con l’esterno. Nel seminterrato il collegamento è inverso, dovuto all’assenza di luce. In questi ambienti bui il caldo sapore del legno dilaga su ogni forma, definendo precisamente lo spazio in ogni piccolo dettaglio, dalla zona fitness fino scandire il ritmo delle bottiglie di vino della cantina. Infine, il colpo di luce dato dal rame nella zona bar, il cuore pulsante del progetto che splende.
Il progetto, su un area in collina, è stato affrontato considerando il tema dell’inserimento paesaggistico del fabbricato. Il progetto propone un edificio con un solo piano fuori terra, che si sviluppa su un corpo di fabbrica principale, posto lungo l’asse est/ovest, di forma rettangolare e compatta con una copertura a più falde delle quali le principali sono convergenti con impluvio interno. Un lungo parallelepipedo al quale si contrappongono nel lato nord altri due volumi, volendo con questa scelta emulare un processo diacronico di crescita del fabbricato tipico del processo evolutivo dell’edilizia di base nelle nostre terre. Il progetto del fabbricato si è inoltre basato sui principi della progettazione bioclimatica. L’Architettura si muove sempre di più verso la sostenibilità, verso un’integrazione degli edifici nella natura e nella ricerca di materiali che siano il più possibile eco-compatibili. In particolare ciò che renderà l’architettura sostenibile sarà il superamento della radicata tradizione costruttiva per porre, all’inizio del processo, altri elementi e sistemi considerati fino da oggi solo marginalmente: orientamento, soleggiamento, fattori di ventilazione naturale, ombreggiamento, ma anche l’adozione di sistemi di sfruttamento ed utilizzo dell’energia ricavabile da fonti rinnovabili e sistemi domotici di gestione. Per questo motivo è stato realizzato un edificio nZEB, con struttura prefabbricata in legno ad altissima prestazione energetica.
La casa di Sansepolcro è stata ideata come uno scrigno lapideo inciso e segnato dai serramenti in legno che si configurano come stratificazioni materiche. La scelta dei materiali è finalizzata ad accentuare un rapporto dialettico con il contesto ma senza rinunciare ad operazioni progettuali nette e radicali sulla volumetria. I serramenti in legno sono l’occasione per innestare nel volume dinamici e preziosi inserti materici, che producono vibrazioni e giochi di luce sempre differenti. L’interno risulta segnato dalla presenza forte della scala che si riverbera anche sul volume in pietra e disimpegna tutti gli ambienti, mentre la progettazione dell’arredo su misura definisce soluzioni integrate a forte carica plastica.
La localizzazione del sito, alla sommità di una collina della Val di Chiana aretina, ha suggerito un dialogo tra edifici e campagna articolato attraverso i temi di un paesaggio a prevalente morfologia orizzontale e la presenza di emergenze architettoniche a vocazione rurale. A partire da questa riflessione il progetto si è generato su forme architettoniche che hanno voluto rileggere l’archetipo tradizionale della casa di campagna con tetto a capanna rinunciando ad un repertorio di citazioni vernacolari, preferendo le forme pure di tre corpi di fabbrica disposti lungo una direttrice che asseconda l’andamento del terreno e li mette in dialogo tra di loro. L’ insediamento si sviluppa in due corpi di fabbrica, il principale che misura una superficie di 110 mq su cui è stata destinata l’abitazione principale e si caratterizza per la su forma ad “L” con la zona giorno pensata come uno spazio aperto e vetrato che gira intorno al blocco cucina. L’edificio accessorio, collegato attraverso una serra solare si sviluppa su due livelli, ciascuno di circa 50 mq, con l’interrato che ospita l’autorimessa. I due fabbricati si sviluppano rispettando il più possibile l’andamento del terreno, la grande apertura della zona giorno apre la vista verso la campagna mentre sul lato della strada l’ingresso principale è segnalato da un portale in cemento armato. Le linee degli edifici corrono tese e minimali creando nel suo insieme un complesso proporzionato e rispettoso del contesto che lo circonda.
Il borgo abbandonato di Castelnuovo dei Sabbioni sembra un luogo privo di vita. Nel suo volto in realtà resta impressa la sofferenza, segno di quella forza che anima i luoghi e gli esseri umani. Castelnuovo oggi è esangue per le dolorose ferite che ha conosciuto. Negli anni Ottanta, l’intera popolazione locale è stata strappata dal suo luogo natio e ricollocata in un nuovo centro urbano poco distante, a causa dei pericoli legati a quell’estrazione di lignite che, nei vent’anni precedenti, aveva già stravolto l’aspetto del borgo. Un viaggio a ritroso in una memoria cosparsa di cicatrici, che si spinge sino al 4 luglio 1944, durante l’occupazione nazista, quando settantatré persone furono fucilate e arse nel paese. Oggi, al posto della vecchia miniera sorge un grande lago artificiale, le case del borgo vecchio sono in abbandono e ricoperte di vegetazione, gli ultimi testimoni superstiti sono molto anziani. Albero Infinito, installazione architettonica e audiovisiva, vuole contribuire a vivificare questa memoria. All’opera è dedicata l’ultima stanza del Museo MINE, nel cuore del borgo. È un albero nero, in ferro, dalle venature-ferite del suo tronco fuoriescono come linfa i racconti di chi queste ferite le ha vissute in prima persona. È il risultato di un lavoro collaborativo di ascolto ed elaborazione delle testimonianze, che parla di Castelnuovo e di quei paesi vicini che ne condividono la storia.
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