L’unità immobiliare, ante ‘67, è Classificata in Centro storico entro le mura, e in Classe 5. L’obiettivo principale del progetto di recupero e cambio di destinazione, da uffici a residenza per turisti, era quello di creare uno spazio fluido che permettesse una facile fruizione e ampia disponibilità di spazi e letti. Partendo da uno studio preliminare per capire la fattibilità del cambio di destinazione e un attento preventivo di massima, avendo ben presente le richieste precise della committenza, gli architetti sono riusciti a sviluppare liberamente un progetto, in cui si coniuga armoniosamente la luce, le forme e i materiali impiegati integrandoli nell’ambiente minimalista, attraverso una libera interpretazione degli spazi interni per meglio adattarsi alla nuova destinazione. L’atmosfera dell’interno è influenzata da diversi materiali di lusso e da un insieme cromatico molto semplice dominato dall’intonaco burro, i soffitti bianchi, il parquet chiaro, posato a lisca di pesce tradizionale, e la pietra nei bagni. I tocchi di colore sono dati dalle carte da parati scelte fra le molteplici del negozio specializzato di Via Santo Spirito, gli arredi sono stati realizzati e scelti dagli architetti nel rispetto di un unicum spaziale. Due porte a scorrere gemelle, appese nel controsoffitto, si aprono sull’ingresso dando la possibilità di utilizzare lo spazio in modo flessibile, gli specchi ampliano lo spazio, riflettendo la luce delle ampie finestre.

Gli allestimenti sono interpretati come naturale completamento dell’involucro architettonico. L’integrazione di estetica e funzionalità è vincolo e spunto per l’utilizzo di materiali di grande qualità ed elevate prestazioni tecnico-funzionali legate alla privacy e alla sicurezza degli utenti. La reintrepretazione del motivo dei ricorsi in travertino presenti sulle facciate nel rivestimento fonoassorbente della sala conferenze,con la tessitura della controsoffittatura,trasmettono una sensazione di avvolgenza a chi entra facendo naturalmente confluire l’attenzione verso gli oratori. Nella saletta corsi lo stesso motivo è stato declinato con delle sottili barre rosse inserite nelle scanalature del rivestimento.I colori utilizzati contribuiscono alla diffusione di una luce particolarmente adatta al livello di attenzione proprio di un corso. Lo sportello bancario è stato interpretato come uno spazio dinamico in cui la linearità espressa dalle finiture delle pavimentazioni e delle controsoffittature svolge un ruolo sostanziale. La cifra degli spazi per uffici è la funzionalità unita alla essenzialità di materiali e prodotti utilizzati sia per gli arredi sia per le pareti in vetro.Le cromie utilizzate stimolano alla attività pur rimanendo su toni pastello. La serra solare è parte imprenscindibile sia dell’architettura sia degli allestimenti, ne costituisce la fusione.Accoglie il visitatore mostrando senza timore l’interno dell’edificio e il suo legame con il territorio.

Italian Tapas

Italian Tapas si trova in un edificio del XVI secolo, Palazzo Panattoni, in un ampio spazio all’interno del quale un tempo abitava una storica pasticceria fiorentina. Nell’allestimento degli spazi ruolo fondamentale ha avuto il concetto di contrasto: antico e moderno, colori scuri e colori chiari, tradizione e sperimentazione, servizio informale e servizio attento, così da dare vita ad uno spazio che prende spunto ed energia dal passato per mirare al futuro. Il confronto con uno spazio così caratterizzato dal tempo come quello al piano terra di Palazzo Panattoni è stata una sfida progettuale molto interessante. Il sistema di raccolta delle acque meteoriche che abbiamo ritrovato nelle murature è stato trasformato in un sistema di illuminazione decorativo. Il certosino lavoro della restauratrice Cristina Napolitano, ha permesso di recuperare alcuni affreschi e stucchi antichi oltre che importanti ornamenti in pietra serena. Gli arredi, tutti realizzati su misura, hanno conferito allo spazio un carattere dinamico e versatile come richiesto dal committente. Le sedute ora si trasformano in bancone ora in un sistema di tavolini e panche. L’illuminazione caratterizza ogni singola sala conferendo caratteristiche diverse. Un piccolo giardino interno, come una piccola giungla arricchisce l’antico pozzo riscoperto tra le murature.

Vyta Santa Margherita Firenze è ubicato nella ex sala d’attesa di prima classe della stazione di Santa Maria Novella, realizzata negli anni ‘30 dall’architetto Giovanni Michelucci. Il progetto nasce dagli elementi d’epoca e dalle pregevoli finiture che avevano caratterizzato la destinazione d’uso originaria, la fusione tra epoche che coesistono e si completano a vicenda danno vita ad un luxury bakery dove i riflessi delle superfici specchianti annullano i volumi e le linee sottili generano elementi tridimensionali. La tutela dei beni culturali, ha costituito un elemento di sfida per la realizzazione di un VyTA che scaturisce dall’interazione tra luogo ed identità, capace di generare un’esperienza unica nella clientela e di rappresentare la vera essenza del brand. I nuovi elementi fortemente caratterizzanti, realizzati con materiali di pregio come rame, vetro e marmo, dialogano con le parti storiche, un elemento in rame pink rosè, con la sua forma ad L rovesciata, coniuga funzionalità e design, realizzato per il contenimento degli impianti e dell’illuminazione, è l’assoluto protagonista, attraverso il ritmo alternato di vuoti e pieni smaterializzati dall’utilizzo di esili lamelle, separa, ma, al tempo stesso, rende fluido lo spazio, dando vita ad un luogo senza tempo, intimo ed accogliente. Un parallelepipedo rivestito in specchio verde racchiude il laboratorio, con il suo decoro a fasce alternate specchianti e satinate amplifica lo spazio annullandone la sua presenza, il ba

Oggetto del presente intervento è un immobile ubicato in località Cedri, Comune di Peccioli. Il fabbricato, già presente nelle mappe della cartografia del catasto leopoldino, risale al XIX secolo e originariamente aveva funzioni agricole; nella seconda metà del XX secolo era già impiegato ad uso esclusivo di civile abitazione. E’ stata eseguita una riqualificazione dell’intero edificio, mantenendo gli elementi architettonici e i materiali originali che lo caratterizzano. Internamente sono stati parzialmente ridistribuiti gli ambienti, unendo due piccoli ambienti in un unico salone e adeguando i servizi igienici ad esigenze abitative più moderne. Si è scelto di demolire parte del controsoffitto non strutturale, al fine di recuperare la spazialità tipica dei fabbricati di questo tipo, valorizzando le travi in legno originali riportate a vista; le pareti del salone sono state stonacate fino a far riaffiorare la pietra originale, che ripulita e imbiancata restituisce all’ambiente interno la vera essenza materica; in questo ambiente sono stati posizionati due lucernari per incrementare l’illuminazione e l’aerazione del locale. Nella camera-studio l’altezza recuperata è stata sfruttata per realizzare un soppalco in legno e ferro a vista, illuminato tramite l’apertura di un lucernario in copertura. Per quanto riguarda i lavori esterni, oltre alla revisione delle facciate e delle coperture, è stato riqualificato il sistema del verde.

Casa in una pineta

L’opera nasce dall’occasione di una ristrutturazione di una residenza estiva costruita a metà degli anni Sessanta, adagiata su una duna di sabbia e circondata da pini marittimi. L’intervento delinea una duplice prospettiva: da un lato la necessità di individuare una sintesi tra la natura dell’edificio – seppur ancora da scoprire – e i valori morfologici e cromatici del luogo in cui esso è insediato; dall’altro la volontà di collocare il carattere degli ambienti interni nel solco di una tradizione che fa del comfort, della domesticità, dell’appropriatezza la propria cifra identificativa. Tutto ciò si applica soprattutto nella modulazione della luce e delle vedute, nel- la misura e conformazione degli spazi, nella discrezione dei materiali. Una ideale direttrice longitudinale, che attraversa l’intera costruzione, permette di trovare una convergenza tra due aspetti operativi significativi: in primo luogo la ridefinizione della spazialità interna, che si concretizza in una sequenza di stanze passanti in stretto rapporto tra loro e con il paesaggio circostante; in secondo luogo l’identificazione del carattere dell’edificio in una nuova morfologia, allo stesso tempo naturale e archetipica, che trova nel sedimento orizzontale la cifra costitutiva.

… fra cielo e mare … ‘… sospesa tra cielo e mare …‘ è la definizione utilizzata dai Committenti per ritrarre la loro nuova casa al Monte Argentario, all’avvio di una bella avventura di progetto condotta con l’obiettivo di riverberare i sapori del paesaggio circostante all’interno dell’abitazione. Un progetto rispettoso dell’organismo edilizio esistente, ispirato ai lavori del grande maestro Giò Ponti, integra le belle pavimentazioni in cotto esistenti con un ampio utilizzo della ceramica dipinta a mano nel vietrese (memoria delle origini napoletane dei Committenti), a rivestire in maniera diffusa i bagni, la cucina e a disegnare un particolare tappeto ceramico a parete nel soggiorno. Un asola orizzontale mette in comunicazione diretta questo con la cucina, permettendo così a questo locale di godere del panorama che si apprezza dall’ampia finestra anche grazie all’installazione a parete di una sorta di grande specchio retrovisore. Le varianti formali e cromatiche che caratterizzano i rivestimenti ceramici ispirano i motivi geometrici che disegnano un po’ tutta la casa frazionando pareti e soffitti secondo triangoli, rombi, rettangoli, semicerchi, sorta di installazione artistica che trova proprio nel corridoio, il locale solitamente di semplice transito, il momento più alto. Arredi e complementi in legno di noce canaletto completano l’ambientazione, interprete di quei valori artigianali tutti italiani di cui la casa oggi va molto fiera.

Casa TLI è un’unità abitativa di piccole dimensioni che fa parte di un blocco di appartamenti risalente ai primi anni settanta del secolo scorso e di conseguenza, l’involucro non avrebbe potuto essere modificato. Lo sforzo maggiore dunque è stato dedicato alla creazione di spazi dinamici all’interno di un contenitore rigido che potessero soddisfare le esigenze di un gruppo familiare di quattro persone stimolando nel contempo, uno stile di vita improntato alla libertà e alla naturalezza d’uso degli ambienti. In altre parole, la volontà di creare uno spazio domestico creativo, a dispetto anche delle dimensioni molto limitate, ha indotto ad evitare quanto più possibile le partizioni cieche che ne avrebbero ridotto il “respiro”; la necessaria definizione funzionale, è stata ottenuta articolando le superfici orizzontali le cui forme scultoree sono enfatizzate da tagli ed asole illuminate da strisce di luce che creano scenari diversi. Gli spazi di connessione e l’ampio soggiorno sono stati trattati in modo da renderli il più possibile multifunzionali con aree specializzate contenute e ampie porte scorrevoli che, a seconda delle necessità, funzionano come pareti divisorie a scomparsa modificando sensibilmente l’ambiente.

Decumanus Caffè

Se è vero che nella società contemporanea la città rappresenta il centro di attrazione per eccellenza – l’invenzione più importante nella storia dell’uomo – e se è vero che il concetto stesso di civitas esprime al meglio l’utilizzo condiviso dello spazio urbano, è altrettanto vero che questa condivisione si esprime al meglio in tutti quei luoghi che, pubblici o privati, auspicano tale socialità e la sostengono creando le ideali scenografie all’interno delle quali gli uomini vivono le proprie esperienze. Il “Decumanus caffè” nasce dal presupposto culturale di trarre ispirazione dall’origine più antica della nostra città, quella Firenze romana ancora oggi evidente nei segni generatori della sua più intima struttura urbana.Partendo da questa premessa il progetto ne interiorizza i contenuti grafici e li sovrappone simbolicamente ad una “città universale” ricca di trame infinite, dure, moderne, drammaticamente tese alla ricerca dell’origine stessa della metropoli contemporanea e concettualmente collegate alle griglie ortogonali delle città ellenistiche, autentiche generatrici della città occidentale. Tali fondamenti hanno portato il progetto ad incoraggiare la ricerca di una spazialità interna volta a privilegiare, con i lunghi tavoli comuni e nell’intimità del giardino chiuso, le funzioni aggregative tipiche delle tabernae. Di forte impatto è l’utilizzo delle grandi lastre in pietra serena che, da banchi di fresa nelle cave di Firenzuola, assurgono ad elemento scenografico.

Il fabbricato che ospita la filiale e sede legale della Banca di Pisa e Fornacette si trova nel centro di Pisa, in via Lungarno Pacinotti, vicino al Ponte di Mezzo. Il progetto interessa alcuni locali del piano terra e del piano primo di un edificio storico e si articola su una superficie complessiva di circa 650 mq. Il piano terra ospita la hall di ingresso, il salone con le casse ed il caveau. Attraverso l’ingresso si entra in uno spazio a doppia altezza, attraversato da due ponti colorati, al cui interno si sviluppa una comoda scala in legno di teak, che sale al piano superiore. Il piano primo, con una superficie di circa 500 mq, ospita gli uffici della direzione, la segreteria, la sala riunioni, la sala per conferenze, archivi e locali tecnici, uniti tra loro da una “catena”di corridoi, slarghi e spazi di attesa. L’intervento di restauro ha lasciato invariata la distribuzione dei locali e la loro dimensione, prevedendo un’opera di consolidamento delle strutture e il ridisegno dei percorsi di distribuzione. All’esterno l’edificio mantiene un aspetto omogeneo e si integra con il resto dei prospetti affacciati sul fiume. All’interno il progetto ammicca ai decori tradizionali delle mattonelle in graniglia degli anni ’50, ingigantiti attraverso la lente della rivisitazione pop. Così dove il pavimento prende colore gli arredi si fanno più tenui, al contrario nelle stanze in cui il rivestimento è bianco e nero gli armadi, i tavoli e le sedie si accendono con i colori intensi.

E’ emersa fin da subito la volontà di lasciare la torre “nuda”, spoglia di tutto ciò che non è sé stessa. La filosofia dell’intervento si è quindi basata sulle parole chiave “rispetto” ed “essenzialità”, puntando sull’ascolto, azione necessaria ad entrare in empatia con l’oggetto e percepirne i bisogni. «Gli interventi hanno avuto l’obiettivo di “levare” più che di “mettere”, nel rigoroso rispetto dei materiali originari, un gioco di rimandi di forme e colori tra odierno e antico». Ogni piano è dotato di un solo elemento poggiato free standing, oggetto dichiaratamente funzionale che non cerca di confondersi con la torre ma che permette la sola dotazione minima per la sopravvivenza, disegnato come evoluzione e deformazione del “cassone” medioevale. Viene così liberata la torre di tutto ciò che è superfluo, architettonicamente e spiritualmente. La scelta dei materiali degli elementi d’arredo si riduce all’essenza ed alla funzionalità: al metallo brunito, scuro, severo, di cui si vestono tutti gli oggetti esteriormente, si contrappone l’acciaio, a rifinire tutte le superfici interne di lavoro. Tale binomio si intravede solo in alcuni dettagli che dichiarano la presenza dell’acciaio interno, sottolineando la fisionomia appena accennata del cassone “archetipo”. Gambe e maniglie vengono ripulite sino all’essenza ultima. Il cassone, oggetto utilizzato da sempre come letto, tavolo, seduta, contenitore, riprende vita, tornando nel luogo a lui più congeniale.

Premio Architettura Toscana

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