Il progetto intende riattivare e sviluppare, attraverso il recupero e l’integrazione di un vecchio presidio già adibito ad Orfanotrofio, una porzione di territorio a ridosso del centro storico collinare di una cittadina di origine medievale. La “Casa verde”, così storicamente chiamata fino a metà degli anni Cinquanta per la forte valenza sociale di orfanotrofio appunto e perché immersa in un bosco di “Quercus Ilex” (Lecci), è sempre stata punto di riferimento per San Miniato, per l’associazionismo e il volontariato, ed anche quando la Fondazione Stella Maris l’ha adibita a residenza sociale per disabili ospita essenzialmente ragazze affette da patologie di carattere neuropsichiatrico.
Il progetto è di fatto una ricerca di legami di fratellanza. Con il bosco, per mezzo dello studio delle sfumature di colore che le foglie hanno nelle diverse stagioni, di cui la facciata ne raccoglie sotto una lettura contemporanea la valenza cromatica. Con le “ragazze ospiti” attraverso la rilettura dei loro lavori grafici riportati in editing sulla facciata in vetro. Con la città tramite il recupero dei “vicoli carbonai” (utili e necessari per la manutenzione dei versanti). Con l luce naturale (filtro vano scala principale). Con il paesaggio attraverso il vecchio filare secolare di cipressi tangenti alla struttura. Con l’arte attraverso l’artista Mercurio-s17s71 che rileggendo il volto degli “ospiti” ha creato una collezione di opere contemporanee.
Il progetto per delle residenze sulle colline della Maremma toscana riprende i caratteri e i materiali della tradizione senza rinunciare alla contemporaneità e all’essenzialità delle linee e delle soluzioni distributive. Il complesso risponde alle esigenze dell’abitare contemporaneo in un contesto rurale. House A e B: alla casa padronale si affianca la dépendance per gli ospiti, ed un locale tecnico ipogeo. I nuovi volumi si accostano a quelli esistenti proseguendo le tracce dei muri portanti in pietra delle case coloniche adiacenti; le linee pulite ed essenziali insieme alle ampie parti vetrate sul paesaggio dichiarano invece la freschezza e la sobrietà della matrice più moderna del progetto. I volumi aggettanti trasportano l’osservatore al centro della fitta pineta e lo sguardo verso il mare. A memoria delle antiche aie, i due volumi sono collegati tra loro da un pergolato in acciaio che trasforma lo spazio intermedio in una corte interna: una leggera linea di separazione tra costruito e natura. La grande copertura lignea, contribuisce a disegnare un unico spazio. House C e D: residenza con piscina la prima e appartamento per il custode e magazzino/garage la seconda che viene realizzata parzialmente ipogea per non interporre del costruito tra gli edifici A, B e il panorama. La soluzione permette inoltre di realizzare un belvedere in continuità con la campagna. La piscina è concepita come un fontanile: un monolite in resina dal quale sgorga acqua in continuazione.
L’opportunità di costruire una pista ciclopedonale è stato motivo di riflessione sul significato di strada. Il progetto non si è limitato alla costruzione di nuova pista ciclabile tout court, ma ha recuperato, o meglio, si è riappropriato della dimensione umana della strada un rapporto non solo distributivo ma sociale, storico, didattico, con le comunità coinvolte. La proposta progettuale della nuova pista ciclopedonale, ha inoltre un secondo tema ambizioso: la ricostruzione mnemonica della “Via Dei Marmi di Michelangelo”. Raccogliere il racconto storico, dei caratteri etici dello spazio consolidato e riportare al centro del progetto la città ed il suo paesaggio è stato fondamentale per l’idea compositiva della ricostruzione di un tratto, un frammento della “Via dei Marmi”. Paradossalmente la nuova ciclopista, tenta di rallentare il viandante con l’intento di riconquistarsi lo spazio perduto; la pista è un racconto da leggere che si snoda per un chilometro e mezzo. Nel tracciato realizzato si susseguono eventi e suggestioni che coinvolgono il passante in una lettura storica mnemonica del proprio territorio. Soffici, Carrà, sono stati frequentatori abituali di queste terre e ne hanno raccontato il vero valore identitario. Il passaggio del fiume Versilia è un ulteriore frammento documentale; lungo il parapetto sono state esposte una serie di foto d’epoca che raccontano non solo la strada nella sua evoluzione nel tempo, ma anche il rapporto col fiume Versilia.
L’Istituto degli Innocenti è la più antica istituzione dedicata all’infanzia. Oggi affianca l’attività di ricerca e documentazione a quella educativa, ospitando cinque servizi per l’infanzia –tre nidi, un centro integrato 0-6 e una scuola dell’infanzia– oltre a case di accoglienza. Il Giardino Grande, nascosto dietro il complesso e contenuto dal perimetro dell’isolato, viene utilizzato ogni giorno da oltre 200 bambini che frequentano i servizi. Il progetto di riqualificazione ha mirato a due obbiettivi: la valorizzazione del giardino, inserito nello straordinario contesto dominato dalla Cupola del Brunelleschi, e la realizzazione di un luogo accogliente, foriero di occasioni di gioco, relazione e scoperta, da fruire in sicurezza e autonomia da bambini e educatori. L’impianto planimetrico si rilega all’architettura e valorizza le preesistenze più significative del giardino attraverso l’inserimento di isole definite da bassi recinti in legno o da siepi formali, la piantagione di una lunga siepe mista ad andamento sinuoso (oltre la quale si celano occasioni di gioco e nascondiglio), l’integrazione delle alberature e la creazione di zone fiorite per la sosta. Tutti gli arredi –disegnati appositamente per questo luogo– sono in legno naturale. Casette, pedane, fioriere, tavoli e panche, vasche per orto e piantagioni, giochi costruiti con semplici rocchi di tronco offrono occasioni di gioco non precostituito, aperto all’interpretazione e alla fantasia dei bambini e dei loro educatori.
SEESAW /al·ta·lé·na/. È il nome dell’area chill-out progettata e autocostruita in occasione del Festival delle arti e degli immaginari collettivi “Copula Mundi 2018” nel parco di Villa Favard a Firenze. Il progetto del padiglione nasce dal desiderio di creare uno spazio aperto ma raccolto, intimo ma estroverso, dove godere della socialità ma anche del silenzio. Un’architettura come un gioco: definire un tassello, moltiplicarlo, assemblarlo secondo un mosaico modellato sul contesto, replicabile in infinite permutazioni, sempre uguale e sempre diverso. Tramite aneddoti, domande scomposte e polaroid appese come scaccia-pensieri, si crea un’estraneazione dalla vita reale per concedersi un momento di relax e riattivare uno spazio pubblico attraverso la condivisione. Le scelte tecnologiche puntano all’ecocompatibilità, alla reversibilità, alla rapidità di realizzazione e al basso impatto di cantiere. I materiali poveri (tubi multidirezionali, pallet, OSB, teli e corde nautiche), la loro sincerità di impiego e la semplicità delle soluzioni hanno permesso di raggiungere, attraverso la ricerca compositiva, un’espressività formale di un oggetto che cura l’aspetto del prodotto e del processo: un esercizio di ordine e chiarezza formale, senza vanità di accanimento estetico; realizzato tramite un processo costruttivo logico che preserva il contesto naturale e mette al centro l’uomo, sia come costruttore che come utente da dondolare.
L’intervento ha come finalità la rigenerazione di un area sportiva preesistente degradata, salvaguardando i caratteri paesaggistici esistenti. Il budget molto contenuto e l’esigenza di compiere i lavori velocemente ha influenzato le scelte progettuali. Il nuovo impianto è costituito da uno spogliatoio-club house con due campi da tennis ed un campo polivalente, comprensivi della sistemazione paesaggistica. Il fulcro del progetto diventa uno spazio adibito a giardino, che costituisce l’ambiente principale ed aggregativo, su cui prospettano le aree di gioco. La disposizione dei campi da tennis è quasi obbligata: a debita distanza dall’alveo del fiume e ubicate in adiacenza al nuovo spogliatoio. Il progetto ha cercato di integrare la disposizione dei campi accanto ad ampie superfici verdi, con la scelta di piantumazioni autoctone, sfruttando direzioni territoriali preesistenti. Il progetto ha previsto la realizzazione di un piccolo spogliatoio-club di forma rettangolare, con copertura a falde inclinate. Il portico con ampia apertura determina il collegamento percettivo del verde con i frequentatori. Sfruttando il doppio orientamento delle falde di copertura si riesce ad orientare in modo ottimale i pannelli solari, nascondendo il sistema dalle viste predominanti. La struttura portante dell’edificio è in legno, veloce nella realizzazione ed ecosostenibile. Questo ha permesso di realizzare l’edificio in breve tempo, con comportamento energetico e strutturale performante.
L’edificazione di un nuovo polo industriale ha suggerito lo spunto per il restauro ambientale di un luogo contaminato da un insediamento industriale anni ’70 che provocò la lastricatura dell’intera estensione dell’area.Il progetto ripropone il declivio agricolo/boschivo perduto, fasciando con verde pensile e rampicanti lo zoccolo in primo piano contenente gli impianti tecnologici per un fronte di oltre 250 mt. Tale zoccolo, sagomato a gradoni, accoglie spalliere di vitis vinifera.L’edificio retrostante affiora così solo al piano superiore, aggettando verso l’Autosole con tre lame, immediatamente percepibili a chi percorre l’autostrada.La rinaturazione si estende anche verso la collina, dove il declivio franoso è consolidato da estese terre armate ricoperte da vegetazione boschiva autoctona.L’intervento non consuma ex novo alcuna porzione di suolo in quanto utilizza un appezzamento già manomesso.Entro l’edificio, coperture fasciate di verde; giardini pensili ritagliati tra i laboratori; patii e specchi d’acqua negli interstizi tra gli edifici, anche con funzione di riserva energetica; roof garden sugli uffici; shed con futuribile copertura di rampicanti. Affinchè la rinaturazione confermasse la specificità non solo dell’orografia, ma anche della vegetazione, si sono scelte essenze abituali nelle coltivazioni locali. Oltre a vitis vinifera e prati, anche citazioni dalla tradizione contadina come ficus carica, punica granatum, zizyphus sativa e filari di populus nigra italica
Il progetto intende riattivare e sviluppare la presenza di due sorgenti termali, elementi essenziali del territorio sia dal punto di vista storico che sociale. Per questo il progetto è stato pensato, come un sistema di luoghi coinvolti dal movimento delle persone che, come l’acqua, entrano negli invasi per poi ritornare al percorso naturale. Come l’acqua calda delle due sorgenti si immette nella vasca superiore riscaldandola, così le persone dalla rampa d’ingresso scendono verso la balneazione naturale, incontrando i diversi cubi in policarbonato e legno che costituiscono i servizi (cassa, deposito, spogliatoio, bar, modulo invernale di accesso alla vasca). Con la balneazione l’acqua sorgiva e le persone entrano in contatto procedendo idealmente nella stessa direzione. Così dalla prima vasca, a una temperatura di 37°, le persone e l’acqua si spostano nel secondo invaso con una temperatura inferiore per poi tracimare metaforicamente nel laghetto naturale balneabile. L’invaso artificiale diviene naturale, l’acqua in eccesso ritorna al suo percorso, l’uomo conclude il suo cammino con la natura e nella natura. Il biolago è costituito da una zona balneabile, con acqua profonda, e da una zona di acqua bassa, dove sono state messe a dimora piante palustri, acquatiche e sommerse che svolgono un’azione fitodepurante e ossigenante. La loro funzione è incrementata dall’utilizzo di ghiaia e zeolite.
L’intervento generale di riordino dell’impianto sportivo pubblico ASSI GIGLIO ROSSO di Firenze è stato attuato per fasi successive che si sono concluse nel marzo 2013. La prima fase ha avuto come oggetto la ristrutturazione dello storico fabbricato “Casa del Custode” per uso spogliatoi atleti e la realizzazione della Club House a servizio sia dell’impianto sportivo che della città. È seguito il recupero delle aree verdi con l’eliminazione delle superfetazioni e delle strutture distrutte dall’incendio del ’73 con la realizzazione del percorso accessibile perimetrale all’impianto anche per utenti DA. Ultima fase la “Nuova Sede” ed il blocco servizi igienici della tribuna spettatori. I nuovi manufatti si inseriscono nel delicato contesto ambientale con scelte sia planimetriche sia altimetriche che richiamano allineamenti ed assi delle preesistenze. Il coraggio formale di alcune soluzioni intende esaltare la dinamicità ed il movimento pur rimanendo ancorato ad una composizione geometrica semplice e ad una formalità legata alla tradizione architettonica fiorentina. I nuovi materiali usati, granito ceramico e rame, non contrastano con lo specialissimo ambiente definibile come vero e proprio “parco sportivo”. Un modo nuovo, su un contesto antico, di concepire l’attività sportiva come elemento di aggregazione sociale attraverso la rilettura architettonica dei luoghi intesi ora non più come un parco di episodi ma di nuovi spazi tra loro interagenti.
L’arena spettacoli e l’area mercatale del Parco Centrale sono gli interventi che hanno trasformato l’area dell’ex Ippodromo dei Pini, realizzando il processo di trasformazione urbana più esteso (P.I.U.S.S.) della città di Follonica. Il paesaggio urbano oggetto d’intervento è stato risolto in relazione alla città e al suo territorio ovvero al sistema del verde, a quello insediativo e a quello del paesaggio. Il progetto si fa catalizzatore della storia urbana della città e dell’esigenza ecologica di continuità del verde, dell’integrazione dei sistemi della mobilità, dei bisogni urbani e delle esigenze del quartiere. Il progetto non propone un modello ma un processo che interpreti tutte le componenti del paesaggio come un tutt’uno: un sistema di elementi tra loro connessi così che tutte le strutture rappresentino un unico assetto. L’arena spettacoli si conforma come collina artificiale a forma di “U” dando vita ad uno spazio aperto nella natura dove poter svolgere concerti per un grande pubblico. L’area mercatale oltre a ricoprire il ruolo tecnico di luogo per il commercio, grazie alla diffusa vegetazione arborea e arbustiva diviene vero e proprio polmone verde della città. Dove prima, c’era il vuoto urbano della pista da corsa dei cavalli, adesso c’è un vero e proprio parco da vivere sia di giorno sia di notte in cui i cittadini possono passeggiare nel verde e riscoprire il paesaggio naturale del fiume Petraia e della Gora che attraversa la città.
L’area oggetto di intervento fa parte del bacino del Lago di Massacciuccoli; fino agli anni ’40 del ‘900 trovavamo le coltivazioni di riso, poi dagli anni ’60 la coltura di Fior di Loto oggi una delle più vaste d’Europa. Il sito era in stato di degrado e di abbandono. Il percorso ciclopedonale “Fior di Loto” riporta alla luce un vero e proprio “gioiello ambientale”; si estende per 1 km ed è parte del sistema dei percorsi territoriali dedicati a luoghi della vita di G. Puccini. Il progetto si inserisce nel contesto ambientale interpretandone materiali e forme, rispondendo alle complesse esigenze tecnico-idrauliche dell’area e all’esigenza di un armonico inserimento paesaggistico. Un palcoscenico ambientale dove natura, coltivazione e infrastruttura instaurano un nuovo ed equilibrato dialogo. I vincoli idraulici sono risolti con tratti in rilevato e un pontile ligneo di 150 m, ciò determina variazioni della velocità di percorrenza, delle percezioni prospettiche e differenti sonorità. Il pontile è in lamellare e massello di abete rosso su pali in acciaio. Il progetto è ad impatto ambientale “zero”, i materiali sono naturali, permeabili e senza agenti chimici. I filari di pioppi cipressini creano zone ombreggiate e le sequenze lineari di essenze arbustive danno vita a un confine osmotico fra natura selvatica e costruzione. Un’architettura naturalizzata dove la “natura costruita” si ibrida con la “natura naturale”: sottili linee cromatiche, cangianti al variare delle stagioni.
L’edificio, posto appena fuori dalla città storica, è il frutto di un progetto di recupero di un’antica fabbrica tessile. È un esempio significativo di edilizia industriale della città di Prato, caratterizzato dalla partitura cadenzata delle aperture dei fronti e, soprattutto dall’impianto planivolumetrico complessivo. L’edifico è rimasto intatto nelle sue caratteristiche architettoniche ad eccezione dei profondi tagli d’ingresso che delimitano l’Auditorium rispetto al restante edificio, tali da permettere la realizzazione, anche per mezzo del recupero delle aree attorno a Via Pelagatti (realizzazione nuovo parcheggio pubblico, percorso attrezzato di collegamento tra Via Valentini e Via Pelagatti, percorso verde attrezzato di collegamento con Via del Romito e di un tratto di pista ciclabile), di una relazione dell’intero edificio al contesto limitrofo ed appunto a Via Valentini, tradizionale asse direzionale della città di Prato. Dai tre tagli d’ingresso si accede all’interno di una grande corte centrale, che è sicuramente una delle parti più interessanti dell’edificio, sia per la dimensione e le proporzioni urbane, che la rendono uno dei luoghi “nascosti” più affascinanti di questo comparto urbano, sia per le caratteristiche architettoniche planimetriche e dei fronti. L’attuale corte interna si trasforma così in una nuova centralità urbana, una piazza-giardino relazionata al contesto limitrofo, anch’esso recuperato, con un nuovo, importante, collegamento a via Valentini.
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